CIRCOLARE DEL 26/07/2017

 

CIRCOLARE DEL 26/07/2017

Contributi Inail fino a 150 mila euro per interventi a favore di lavoratori disabili

 

Si amplia la rete di assistenza Inail a favore dei lavoratori disabili: con la circolare 30 pubblicata ieri, l’Istituto estende, infatti, in via sperimentale anche ai casi di nuova occupazione le misure già previste per la conservazione del posto di lavoro, in attesa della piena attuazione delle disposizioni in materia di politiche attive e servizi per il lavoro.

La circolare fa riferimento al regolamento approvato dall’Inail lo scorso anno e che prevede interventi e risorse fino a un massimo di 150mila euro a favore della continuità lavorativa di infortunati e soggetti colpiti da malattia professionale, mettendo in pratica quanto previsto dalla legge 190/2014 (si veda il Sole 24 Ore del 13 luglio 2016).

Il regolamento prevede tre tipologie di intervento:

per il superamento e l’abbattimento delle barriere architettoniche nei luoghi di lavoro (interventi edilizi, impiantistici e domotici, dispositivi finalizzati a consentire l’accessibilità e la fruibilità degli ambienti di lavoro), con tetto di spesa complessiva a 95mila euro nel limite massimo del 100% dei costi ammissibili:

per l’adeguamento e l’adattamento delle postazioni di lavoro (arredi, ausili e dispositivi tecnologici, informatici o di automazione, compresi i comandi speciali e gli adattamenti di veicoli) con limite di spesa fino a 40mila euro e il 100% di costi ammissibili;

per la formazione, con limite di spesa fino a 15mila euro e il 60% di costi ammissibili (interventi personalizzati di addestramento all’utilizzo delle postazioni di lavoro e delle attrezzature, di formazione e tutoraggio per lo svolgimento della stessa o di altra mansione).

La circolare estende l’applicabilità di questi interventi ai casi di inserimento lavorativo in nuova occupazione, con esclusione di quei soggetti tutelati Inail che non sono direttamente qualificabili come lavoratori, quali, ad esempio, gli studenti e le casalinghe, nonché i dipendenti delle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo, assicurati attraverso la gestione speciale per conto dello Stato. Il sostegno si applicherà ai contratti lavoro subordinato o parasubordinato, ma non al lavoro autonomo, previsto invece in caso di conservazione del posto di lavoro. Per quanto concerne, invece, contratti a tempo determinato, l’Inail effettuerà caso per caso una valutazione costi/benefici.

Per accedere ai finanziamenti, anticipabili fino al 75%, il datore di lavoro dovrà presentare un progetto d’inserimento che andrà comunicato con un modulo allegato alla circolare. Il progetto andrà, infine, approvato dalla direzioni Inail territorialmente competenti, le quali dovranno in seguito verificare che il contratto di lavoro successivamente sottoscritto con il disabile sia conforme a quanto indicato nel progetto stesso.

 

CIRCOLARE DEL 29/06/2017

Parte l’incentivo “Resto al Sud”

Parte la misura che sostiene i giovani del Sud nell’avvio di attività imprenditoriali nelle regioni del Mezzogiorno denominata “Resto al Sud”. E’ stata prevista dal Dl n.91/2017. Si tratta di un finanziamento da € 40 mila  per ciascun richiedente fino ad € 200 mila in caso di società  (il 35% a fondo perduto, il restante 65% attraverso un prestito a tasso zero da restituire in 8 anni). Le istanze di accesso ai finanziamenti potranno essere presentate a partire dalla data fissata dal decreto ministeriale (e fino ad esaurimento delle risorse stanziate) direttamente sul sito di Invitalia che valuterà il progetto proposto entro 60 giorni e provvederà alla relativa istruttoria, valutando anche la sostenibilità tecnico-economica della proposta progettuale. Sono ammesse alla misura ditte individuali e società operanti nel campo dei servizi artigianato e produzione. Escluso il commercio ed attivita professionali.

 

CIRCOLARE DEL 14/06/2017

Eredità, rinuncia con inventario

Ma le motivazioni sono scarne e la legge non richiede l’adempimento

Per formulare una valida rinuncia all’eredità, occorre prima procedere alla redazione dell’inventario dell’eredità? Questo dubbio attanaglia la prassi professionale perché, a fronte di un comportamento univoco dei notai (nel senso di non ritenere necessario l’inventario dell’eredità per esprimere una valida rinuncia all’eredità), la Corte di cassazione, con poche, ma incessanti e praticamente non motivate pronunce (le sentenze 7076/1995, 4845/2003 e 5862/2014), ha sancito esattamente il contrario. Vediamo i termini della questione.

Il soggetto che è denominato come «chiamato all’eredità» è colui che, per legge o testamento, è candidato a diventare erede del de cuius, qualora dichiari di accettare l’eredità che gli sia offerta per effetto del decesso del de cuius.

Fino all’accettazione dell’eredità, il chiamato non ha la titolarità del patrimonio ereditario e non è tenuto a rispondere dei debiti del defunto; una volta che, invece, il chiamato abbia accettato l’eredità (senza essersi avvalso del beneficio di inventario), egli risponde dei debiti del defunto, di qualunque entità essi siano (e, quindi, anche se superino il valore dell’attivo ereditario): per significare questa situazione si dice che egli, in tal caso, è un erede “puro e semplice”.

Se invece l’accettazione dell’eredità sia fatta con il beneficio d’inventario, l’erede non risponde dei debiti del defunto che superino il valore dell’attivo ereditario.

Possessori e non

Ora, nessun problema si pone per il chiamato all’eredità che non sia nel possesso dei beni ereditari (per “possesso” si intende la materiale disponibilità di beni del defunto, anche di minimo valore: ad esempio, la sua casa, la sua automobile, i suoi averi, i suoi effetti personali): il chiamato non possessore ha 10 anni di tempo per accettare l’eredità e fino a che l’accettazione non avvenga, nessuno può pretendere che egli paghi i debiti del defunto.

Se si passa invece a osservare il caso del chiamato all’eredità che sia nel possesso dei beni ereditari, l’articolo 485 del Codice civile dispone che egli deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione. Se entro questo termine abbia cominciato l’inventario, ma non sia stato in grado di completarlo, egli può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi.

Trascorso il termine (trimestrale o prorogato) senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede “puro e semplice”. Compiuto invece l’inventario, il chiamato all’eredità che non abbia ancora fatto la dichiarazione di accettazione dell’eredità ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Se questo termine decorre senza che il chiamato abbia espresso la volontà di rinunciare o di accettare con il beneficio d’inventario, egli è considerato erede “puro e semplice”.

D’altro canto, l’articolo 519 del Codice civile attribuisce al chiamato il diritto di rinunciare all’eredità e l’articolo 521 sancisce che chi rinuncia all’eredità si considera «come se non vi fosse mai stato chiamato».

Allora, ci si chiede: quando l’articolo 485 del Codice civile parla di rinuncia all’eredità da parte del chiamato una volta che sia stato compiuto l’inventario, sta alludendo a una facoltà alternativa a quella dell’accettazione beneficiata? O sta alludendo al fatto che il compimento dell’inventario è condizione imprescindibile per poter validamente rinunciare all’eredità?

Quest’ultima appare essere, in realtà, una lettura non appropriata della normativa in questione. La legge infatti pare offrire solo i seguenti possibili scenari:

due soluzioni “radicali” (l’accettazione “pura e semplice” e la rinuncia) e cioè la incondizionata adesione alla chiamata ereditaria o il suo categorico respingimento; e:

due soluzioni “di riflessione”: l’accettazione con beneficio di inventario, seguita dalla redazione dell’inventario (qui, da subito, il chiamato intende aderire alla chiamata, ma intende cautelarsi dell’eventuale eccedenza del passivo rispetto all’attivo); oppure, viceversa, la redazione dell’inventario, al cui esito si rimanda la decisione se accettare o meno.

Conclusioni fuorvianti

Andare dunque a desumere da questo panorama normativo l’imprescindibilità dell’inventario per poter validamente esprimere una rinuncia all’eredità significa far dire alla legge ciò che essa non vuole, e cioè pretendere un’inventariazione (e relativo dispendio di tempi e di costi) a carico di chi non ha nessuna volontà di sapere come è composta la massa ereditaria: ciò che anche la Cassazione ha bensì affermato, ma solo nell’isolata e lontana sentenza n. 11634/1991.

Appare infatti indubbio che tra la posizione dei creditori (i quali cerchino di soddisfarsi su un patrimonio diverso da quello del proprio debitore) e la posizione del chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari (magari di beni insignificanti, magari per un breve periodo di tempo) e abbia formulato una radicale rinuncia all’eredità, sia quest’ultima posizione a dover prevalere, senza che debba soccombere per il fatto di un mancato inventario che nessuna norma gli impone.

 

CIRCOLARE DEL 13/06/2017

Società estinte, sotto tiro i soci

 

Il Fisco mette sotto tiro i soci delle società estinte. Con la notifica diretta degli accertamenti nei confronti dei soci senza passare prima attraverso un atto notificato alla società. Ma non è possibile, al di là della prassi seguita negli ultimi tempi, che gli accertamenti nei confronti di società estinte siano considerati validi se notificati semplicemente ai soci. Questo nonostante qualche ultimo “arresto” sul tema della Corte di cassazione.

Le regole

Ma ricostruiamo il quadro normativo. La riforma del diritto societario ha fissato il principio che la cancellazione dal Registro imprese determina l’estinzione dell’ente societario, sia di persone che di capitali. Il principio è stato confermato dalla Cassazione a sezioni unite (sentenze n. 4060/1/2 del 2010). Nel 2013, tuttavia, la Cassazione ha parzialmente rettificato il “tiro”, affermando che, per effetto delle disposizioni dell’articolo 2495 del Codice civile (e 2312 del Codicecivile), tra società e soci si verifica un fenomeno successorio sui generis limitato a quanto riscosso a seguito della liquidazione (2495 Codice civile) o illimitatamente (2312 Codice civile). Questo fenomeno successorio riguarda, secondo la Cassazione, anche le “sopravvenienze”, cioè diritti o beni sopravvenuti, non risultanti dal bilancio finale di liquidazione. Ad ogni modo, sempre la Cassazione a sezioni unite del 2013 ha stabilito che «è del tutto ovvio che una società non più esistente … non può validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta».

In tutto questo occorre rammentare l’articolo 28 del decreto legislativo 175/2014, con il quale è stato stabilito che «ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla cancellazione dal registro delle imprese». Si tratta di una norma che ha una finalità “capziosa” (si veda l’articolo a fianco) e che, ad ogni modo, risulta chiaramente illegittima (al di là della mancanza di delega) in quanto in nessun Paese può verificarsi che una società risulti “cessata a metà”. In sostanza, non vi può essere solo una “stabilizzazione relativa” della società cessata, di modo che quest’ultima possa risultare destinataria di atti di accertamento validi e che, soprattutto, possa stare in giudizio (la parola “contenzioso” inserita nel decreto legislativo 128/2014 avrebbe questa finalità). Si pensi: come può, magari l’ex liquidatore della società cessata, risultare legittimato a stare in giudizio, quando non esiste l’assemblea che, potenzialmente, avrebbe potuto revocare lo stesso liquidatore (al di là del fatto che si tratta oramai di un ex liquidatore)?

La svolta della Cassazione

In definitiva: un soggetto di diritto non può estinguersi solo sotto alcuni profili e non per altri. In tutto questo, con la sentenza n. 9094 del 2017, la Cassazione ha inaugurato un nuovo filone, affermando che la «possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire». Questo, in sostanza, legittimerebbe l’azione dell’Agenzia direttamente nei confronti dei soci di una società cessata per eventuali “sopravvenienze”, come può esserlo un atto di accertamento emanato dopo la cancellazione dal Registro delle imprese. Tant’è che l’ultima sentenza della Cassazione sul tema – la 12953/2017 (si veda Il Sole 24 Ore del 24 maggio) – afferma che l’atto di accertamento emesso nei confronti di una società cessata risulta correttamente notificato ai soci quali “successori”. Si tratta, però, di affermazioni non corrette in quanto la responsabilità dei soci per eventuali sopravvenienze può essere fatta valere solo avanti al giudice ordinario. Per le norme fiscali e, quindi, per avanzare pretese avanti al giudice tributario, valgono le disposizioni dell’articolo 36 del Dpr 602/1973, che dettano regole differenti e offrono una serie di garanzie al socio

 

CIRCOLARE DEL 15/12/2016

SGRAVIO ASSUNZIONE AL SUD  PER UN ANNO

PER GLI ASSUNTI E TRASFORMAZIONI A TEMPO INDETERMINATO NEL 2017

 

Ci saranno 530 milioni di euro a disposizione delle aziende che nel corso del prossimo anno (1° gennaio-31 dicembre 2017), assumeranno al Sud con contratti a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione, disoccupati (di età compresa tra 15 e 24) anni e/o soggetti (dai 25 anni in su) che non lavorano da almeno sei mesi.

Si tratta dell’incentivo contributivo – messo a disposizione da un decreto direttoriale di imminente operatività – che, impiegando fondi strutturali europei, premia i datori di lavoro i quali – senza esservi tenuti da vincoli legali o contrattuali – instaurino rapporti di lavoro stabili nelle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia (dote finanziaria 500 milioni di euro) ovvero in Abruzzo, Molise e Sardegna (stanziamento 30 milioni di euro). A tal fine è rilevante l’ubicazione della sede di lavoro.

Se questa cambia, collocandosi al di fuori dalle regioni agevolate, si perde l’incentivo dal mese successivo al trasferimento; non rileva, invece, la residenza del soggetto da inserire in azienda.

Sono incentivate anche le assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante, i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo con una cooperativa, i part time e le trasformazioni a tempo indeterminato di contratti a termine.

Restano esclusi, invece, i rapporti di lavoro domestico, quelli con lavoratori pagati tramite voucher e, molto verosimilmente, i contratti di lavoro intermittente o a chiamata.

Semaforo rosso anche per coloro che, nei sei mesi precedenti, hanno già intrattenuto un rapporto di lavoro con la stessa azienda.

L’agevolazione riguarderà la quota di contribuzione datoriale (premio Inail escluso), nel limite di 8.060 euro annui pro capite; in caso di assunzioni a tempo parziale l’importo sarà riproporzionato.

In pratica si tratta di una riproposizione, in forma ridotta, dell’incentivo previsto dalla legge 190/2014. Tre le principali differenze: la durata (annuale e non triennale); il ristretto bacino di operatività (il Sud e non l’intero territorio); la fruibilità che, diversamente dallo sgravio triennale, postula il rispetto del Regolamento (Ue) 1407 del 18 dicembre 2013 sugli aiuti “de minimis”. Va, tuttavia, evidenziato che tali regole possono essere superate se l’assunzione genera un incremento occupazionale netto; a sua volta tale condizione non opera nel caso in cui, nei dodici mesi antecedenti l’assunzione, la riduzione del personale derivi da dimissioni volontarie, invalidità, pensionamento per raggiunti limiti di età, riduzione volontaria dell’orario di lavoro e licenziamento per giusta causa.

L’articolo 8 del decreto stabilisce che l’agevolazione per il Sud non è cumulabile con altri incentivi all’assunzione di natura economica o contributiva.

La regia dell’intera operazione è affidata all’Inps, che dovrà farsi carico anche del controllo del rispetto della normativa sugli aiuti di Stato (si veda la scheda sopra).

Si evidenzia che in relazione al contingentamento delle risorse finanziarie disponibili, il decreto prevede un meccanismo di accesso all’incentivo un po’ farraginoso.

In chiusura, un occhio ai vantaggi per le aziende. Considerato che l’agevolazione riguarderà la contribuzione aziendale (mediamente pari al 29%) e che questa è commisurata sull’imponibile previdenziale, un incentivo pieno di 8.060 euro consentirà l’azzeramento degli oneri contributivi per retribuzioni che si collocano, al massimo, entro i 28.000 euro annui.

 

CIRCOLARE DEL 13/12/2016

REDDITO PER CASSA PER MINORI IN CONTABILITA SEMPLIFICATA

 

La legge di bilancio per il 2017 introduce il nuovo criterio di cassa per la determinazione del reddito d’impresa e della base imponibile dell’Irap delle imprese in contabilità semplificata. La nuova disciplina, che si applica dal 2017, interessa 439mila società commerciali di persone e 1,76 milioni di imprese individuali.

Tale regime sarà quello “naturale” per le imprese minori che non si avvalgono del regime forfettario, le quali, se non intendono adottarlo, possono optare per quello di contabilità ordinaria (nel quale occorre permanere per almeno 3 anni). Non sono stati modificati i requisiti per fruire del regime di contabilità semplificata, che si estende di anno in anno se non sono stati superati i limiti stabiliti. Il criterio di cassa, che si applica anche per i versamenti effettuati e i corrispettivi ricevuti a titolo di acconto, è analogo a quello degli esercenti arti e professioni e si applicano, pertanto, i chiarimenti interpretativi forniti dall’agenzia delle Entrate al riguardo.

Il monitoraggio dei flussi finanziari imposto dal nuovo regime di cassa per le imprese minori può risultare difficoltoso per i contribuenti di modeste dimensioni che possono, però, scegliere di considerare quale data di incasso o pagamento quella di registrazione dei documenti ai fini dell’Iva.

Come si calcola il reddito

Il reddito d’impresa sarà pari alla differenza tra l’ammontare dei ricavi (compreso il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa), dei dividendi e degli interessi “percepiti” nel periodo di imposta e quello delle spese “sostenute” nel periodo stesso. La differenza va aumentata del valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare e dei proventi immobiliari. Continuano ad assumere rilevanza, con le regole precedenti, le plusvalenze e le sopravvenienze attive, le minusvalenze e le sopravvenienze passive, gli ammortamenti, gli accantonamenti di quiescenza e previdenza, le perdite di beni strumentali e su crediti e le deduzioni forfetarie per particolari categorie di attività, nonché le regole per determinare il costo dei beni e i componenti in valuta.

Non concorrono, invece, a formare il reddito le variazioni delle rimanenze ma nel primo anno di applicazione del nuovo regime vanno dedotte le rimanenze finali dell’anno precedente. Criteri analoghi si applicano anche ai fini dell’Irap.

Non è mutato il regime delle perdite, che restano compensabili con i redditi di altra natura posseduti nello stesso anno ma non sono riportabili in quelli successivi. Risulta, però, aumentata la possibilità di dichiarare una perdita, che può derivare anche dal pagamento di acquisti di beni che sono venduti nell’anno successivo e dalla deduzione integrale delle rimanenze nel primo anno in cui si applica il criterio di cassa. Appare, pertanto, auspicabile l’estensione alle imprese in contabilità semplificata del regime previsto per i contribuenti “forfettari”, che possono dedurre le perdite dal reddito dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quinto e riportarle in avanti senza limitazioni se sono prodotte nei primi tre anni di attività.

Gli obblighi contabili

L’annotazione dei ricavi avviene annotando cronologicamente, per ciascun incasso, l’importo, le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento e gli estremi della fattura o dell’altro documento emesso. Analoghe indicazioni vanno fornite, in un diverso registro, per ciascuna spesa sostenuta. Gli altri componenti di reddito devono essere annotati entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Possono essere tenuti soltanto i registri Iva, annotando separatamente i componenti non rilevanti ai fini di tale imposta, e con possibilità di riportare, per gli incassi e i pagamenti che non avvengono nell’anno di registrazione, soltanto il loro importo complessivo con l’indicazione delle relative fatture (cui seguirà l’annotazione analitica nell’anno di incasso o pagamento, indicando il relativo documento). In alternativa, è possibile optare (per almeno 3 anni) per fare coincidere la data di incasso o pagamento con quella di registrazione ai fini Iva.

 

CIRCOLARE DEL 18/11/2016

Cartelle ed Atti non impugnati, prescrizione breve

Termine «corto di 5 anni» se scade il tempo per opporsi – Dieci anni se c’è una sentenza in giudicato

Solo il diritto di credito contenuto in una sentenza passata in giudicato si prescrive in dieci anni; invece la mancata impugnazione di un qualunque atto impositivo non comporta l’allungamento del termine prescrizionale. Ad affermare questi importanti principi sono le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 23397 depositata ieri, che potrebbero avere rilevanza anche ai fini della valutazione della rottamazione dei ruoli.

La vicenda traeva origine dall’opposizione avanti al tribunale competente di un’intimazione di pagamento relativa a una cartella per omessi versamenti di contributi previdenziali Inps. Il primo giudice dichiarava inammissibile per tardività l’impugnazione, mentre la Corte di appello, accogliendo le ragioni del contribuente, riteneva prescritto il credito vantato dall’ente con la cartella di pagamento. Secondo tale pronuncia, infatti, l’intimazione di pagamento era stata notificata oltre il quinquennio dalla notifica della predetta cartella.

Avverso la decisione, l’Inps ricorreva per Cassazione lamentando un’errata interpretazione della norma, atteso che la già citata cartella di pagamento era divenuta definitiva per assenza di impugnazione e pertanto trovava applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario.

Con l’ordinanza 1799/2016 i giudici di legittimità, ravvisando un contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno rinviato la decisione alle Sezioni unite. La questione era così legata all’interpretazione dell’articolo 2953 del Codice civile, con riguardo all’operatività o meno della “conversione” del termine di prescrizione breve in ordinario decennale, in seguito alla mancata impugnazione di atti di riscossione riferiti sia a contributi previdenziali, sia più in generale a qualunque entrata tributaria statale, comunale e provinciale, e anche con riguardo alle sanzioni amministrative. In altre parole, il dubbio riguardava il termine prescrizionale del credito contenuto in un atto non impugnato dal contribuente e quindi, se tale omessa impugnazione fosse idonea a trasformare il termine da breve a decennale.

Le Sezioni unite, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, hanno innanzitutto affermato che la prescrizione decennale prevista dall’articolo 2953 del Codice civile decorre dal passaggio in giudicato della sentenza e l’eventuale conversione della prescrizione breve in quella decennale trova il proprio fondamento proprio nella sentenza stessa.

Sia la cartella di pagamento sia gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva, ivi compreso anche l’accertamento esecutivo, non sono idonei ad acquistare efficacia di giudicato. L’assenza dell’impugnazione nei termini previsti può comportare, infatti, solo l’irretrattabilità del credito contenuto nel provvedimento, ma non automaticamente la trasformazione del termine prescrizionale.

In conclusione, quindi, la Cassazione ha affermato il principio generale secondo cui la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto produce solo l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non determina anche la conversione del termine di prescrizione breve in ordinario (dieci anni).

Tale principio si applica con riguardo a tutti gli atti, comunque denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti erariali, nonché per le sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

L’interpretazione è particolarmente importante soprattutto in questo periodo in cui molti contribuenti stanno valutando se aderire alla rottamazione dei ruoli o meno.

Alla luce di tali principi, le cartelle notificate oltre i termini “brevi” non precedute da sentenze o da atto interruttivo (per esempio sollecito o intimazione), ovvero cinque anni in assenza di specifica previsione potrebbero essere già prescritte e quindi il contribuente non avrebbe alcun interesse alla definizione.

È evidente però che in tale ipotesi, se l’agente della riscossione (o chi ne farà le veci) in un prossimo futuro avanzerà delle pretese, occorrerà impugnare il provvedimento dinanzi al giudice competente chiedendo l’applicazione dei principi ora affermati dalle Sezioni unite

 

CIRCOLARE DEL 16/11/2016

Partite Iva inattive, chiusura senza sanzioni.

Cancellazione d’ufficio per le posizioni inattive da almeno tre anni-

Il pacchetto semplificazioni prevede una chiusura delle partite Iva inattive da almeno tre anni che sarà d’ufficio e senza irrogazione di alcuna sanzione. In ogni caso la chiusura sarà comunicata preventivamente al titolare della posizione Iva “dormiente” che potrà evitarla fornendo

 

CIRCOLARE DEL 10/11/2016

Studi di settore: dal 2017 sostituiti dagli indici di affidabilità
Un emendamento al Dl n.193/2016, approvato dalla Commissioni Bilancio e Finanze delle Camera, prevede l’abrogazione a partire dal periodo d’imposta 2017 degli Studi di settore. Questi verranno sostituti dagli indici di affidabilità, che consentiranno di indirizzare i controlli e ottenere effetti premiali collegati alla riduzione del periodo di accertamento.
venerdì 11 novembre 2016

 

CIRCOLARE DEL 25 OTTOBRE 2016

Rottamazione delle cartelle Equitalia: le adesioni entro il 22 gennaio
Una delle novità che fa più scena Dl n.193/2016, è la rottamazione delle cartelle Equitalia. Sono interessati i ruoli affidati all’agente della riscossione negli anni dal 2000 al 2015. I contribuenti interessati alla rottamazione dovranno presentare entro il 22 gennaio un’apposita dichiarazione, che pubblicherà Equitalia sul proprio sito entro l’8 novembre. A seguito della presentazione della dichiarazione/domanda di accesso, l’agente della riscossione, relativamente ai carichi oggetto della domanda, non potrà avviare nuove azioni esecutive né iscrivere nuovi fermi amministrativi e ipoteche, e verranno, inoltre, sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei detti carichi. La somma da pagare decurtata di sanzioni ed interessi potrà essere dilazionata in un numero massimo di quattro rate. In caso di mancato o tardivo pagamento dell’unica rata o di una delle rate dilazionate, la definizione non produce effetti.
Chi è interessato potrà contattarci dal 8 novembre in poi.

 

 

CIRCOLARE DEL  05/10/2016

Condono fiscale Equitalia: anticipazioni
L’ipotesi di condono fiscale nella Legge di Stabilità 2017: la proposta di Zanetti e le anticipazioni di Renzi sulla imminente Riforma Equitalia.

Il condono Equitalia di cui ha parlato il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti è per ora una misura allo studio, non ci sono certezze sull’inserimento nella Legge di Stabilità. Secondo ricostruzioni di stampa, sulla misura si registrerebbe una certa freddezza da parte del ministro Pier Carlo Padoan. Mentre a favore ci sarebbero un gruppo di deputati di maggioranza e forse lo stesso Premier Renzi.
In base alle anticipazioni di Zanetti, il mini-condono fiscale non si applicherebbe all’importo delle tasse evase ma sarebbe una sorta di sanatoria/sconto solo su interessi e sanzioni applicate alle somme a ruolo nelle cartelle Equitalia.
Insomma, un meccanismo in linea con il modello voluntary disclosure.

 

CIRCOLARE DEL 20/08/2016

CONTRIBUTI OMESSI INPS: ESCLUSA L‘IPOTESI DI REATO MA AUMENTANO LE SANZIONI AMMINISTRATIVE.

Dal 6 febbraio 2016 non si configura più l’ipotesi di reato in caso di contributi non versati ma attenzione alle sanzioni amministrative.
Con il D.Lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016, e precisamente con il sesto comma dell’art. 3, è stata prevista la sostituzione dell’articolo 2, comma 1-bis, del Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 novembre 1983, n. 638, prevedendo che “1-bis. L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.

 

CIRCOLARE DEL 22/06/2016

Più chance al «sovraindebitato»

Più chance al consumatore sovraindebitato. Se il piano di ristrutturazione dei debiti non viene omologato dal giudice, esso può essere convertito in proposta di accordo con i creditori. Lo ha deciso il Tribunale di Cagliari con ordinanza dello scorso 11 maggio (presidente Mura, relatore Caschili), risolvendo una questione controversa circa la cumulabilità dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento.

 

CIRCOLARE DEL 16 GIUGNO 2016

ANCORA FONDI PER SELFIEMPLOYMENT

FINANZIAMENTI A TASSO ZERO
SELFIEmployment è il nuovo fondo rotativo nazionale promosso dal Ministero del Lavoro e gestito da Invitalia.
Con una dotazione finanziaria iniziale di 114,6 milioni di euro, mette a disposizione finanziamenti agevolati senza interessi per gli iscritti al Programma Garanzia Giovani che vogliono mettersi in proprio o avviare un’attività imprenditoriale.

A chi si rivolge

Le agevolazioni sono rivolte ai giovani che:
– hanno tra i 18 e i 29 anni
– sono Neet, cioè non hanno un lavoro e non sono impegnati in percorsi di studio o di formazione professionale
– sono iscritti al programma Garanzia Giovani e hanno concluso l’accompagnamento allo startup di impresa

I giovani possono avviare iniziative imprenditoriali presentando la domanda nelle seguenti forme:

1. Imprese individuali, società di persone, società cooperative composte massimo da 9 soci che sono:
– costituite da non più di 12 mesi alla data di presentazione della domanda, purché inattive
– non ancora costituite, a condizione che vengano costituite entro 60 giorni dall’ammissione al finanziamento

2. Associazioni professionali e società tra professionisti costituite da non più di 12 mesi rispetto alla data di presentazione della domanda, purché inattive.

Cosa si può fare

Possono essere finanziate le iniziative in tutti i settori della produzione di beni, fornitura di servizi e commercio, anche in forma di franchising, come ad esempio:

– turismo (alloggio, ristorazione, servizi) e servizi culturali e ricreativi
– servizi alla persona
– servizi per l’ambiente
– servizi ICT (servizi multimediali, informazione e comunicazione)
– risparmio energetico ed energie rinnovabili
– servizi alle imprese manifatturiere e artigiane
– commercio al dettaglio e all’ingrosso
– trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli.

Sono esclusi i settori della pesca e dell’acquacultura, della produzione primaria in agricoltura e,  in generale, i settori esclusi dall’articolo 1 del Regolamento UE 1407/2013.

 

Le agevolazioni

I giovani potranno presentare domanda di finanziamento al Fondo per la concessione di prestiti, per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali, da un minimo di 5 mila ad un massimo di 50 mila Euro. I prestiti verranno erogati a tasso di interesse zero,  senza garanzie personali, coprono fino al 100% dell’investimento e devono essere restituiti in 5 anni

Tipologie di finanziamento Sono previste tre tipologie di finanziamento, con diverse modalità di erogazione dei contributi:

microcredito per spese tra 5.000 e 25.000 euro
microcredito esteso per spese tra 25.000 e 35.000 euro
piccoli prestiti per spese tra 35.000 e 50.000 euro

Chi ottiene le agevolazioni deve impegnarsi a realizzare gli investimenti entro 18 mesi dal perfezionamento del provvedimento di ammissione.

Risposte in 60 giorni
La presentazione dei progetti avverrà esclusivamente on line, verrà data una risposta entro 60 giorni dall’invio del business plan.

 

CIRCOLARE DEL 14/06/2016

IL NUOVO CALENDARIO DELLE SCADENZE  DEI VERSAMENTI DA UNICO
16 giugno Unico 2016

Versamento a saldo 2015 e prima rata di acconto per il 2016 Persone fisiche e gli altri contribuenti con esercizio che coincide con l’anno solare che presentano l’Unico 2016, estranei agli studi di settore. Pagamento anche rateale Con il modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti

Dal 17/06 al 16/07/2016, che slitta al 18/7, con lo 0,40% in più
Diritto annuale
Dovuto dalle imprese estranee agli studi di settore, iscritte o annotate nel Registro delle imprese (R.I.). L’importo del diritto non è frazionabile in rapporto alla durata di iscrizione nell’anno Con il modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti 30 giugno

Unico 2016 persone fisiche
Contribuenti che presentano alla posta l’Unico 2016, in alternativa è possibile presentare il modello Unico 2016 in via telematica entro il 30 settembre Presentazione tramite un ufficio postale 6 luglio

Unico 2016 Versamento a saldo 2015 e prima rata di acconto per il 2016 – Studi di settore
Contribuenti soggetti agli studi di settore, persone fisiche (superminimi e forfetari compresi) e altri soggetti con esercizio che coincide con l’anno solare. Pagamento anche rateale con interessi del 4% annuo Con il modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti Dal 17/06 al 18/07 Unico 2016 Versamento a saldo 2015 e prima rata di acconto per il 2016 – No studi di settore Persone fisiche (fatta eccezione per i superminimi e i forfetari) e gli altri contribuenti con esercizio che coincide con l’anno solare che presentano l’Unico 2016 estranei agli studi di settore. Il versamento con lo 0,40% in più, riguarda, di norma, i contribuenti estranei agli studi di settore che presentano Unico 2016. Pagamento anche rateale con interessi del 4% annuo Con il modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti 22 luglio Modello 730/2016 Per i redditi del 2015 Presentazione telematica Dal 17/07 al 22/08 Con lo 0,40% in più

Unico 2016 Versamento a saldo 2015 e prima rata di acconto per il 2016 – Studi di settore
Contribuenti soggetti agli studi di settore, persone fisiche (superminimi e forfetari compresi) e altri soggetti con esercizio che coincide con l’anno solare. Pagamento anche rateale con interessi del 4% annuo Con modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti Dal 7/07 al 22/08 Con lo 0,40% in più

Iva Adeguamento Iva agli studi di settore.
Contribuenti che presentano l’Unico 2016 Con modello F24 Unico 2016 Con lo 0,40% in più

Studi di settore – Maggiorazione del 3% per i ricavi o compensi non annotati
I contribuenti che adeguano le entrate contabilizzate, se inferiori al ricavo o compenso, che risulta dagli studi di settore, devono versare una maggiorazione del 3% calcolata sulla differenza tra i ricavi (o i compensi) derivanti dall’applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili Con modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti 30 settembre Unico 2016 Per i redditi del 2015 Presentazione telematica 30novembre Unico 2016 – Versamento seconda rata di acconto per il 2016 Persone fisiche e altri contribuenti con esercizio che coincide con l’anno solare, che hanno presentato l’Unico 2016 Con modello F24. L’importo può essere compensato con i crediti Come cambiano le scadenze per Unico e 730

 

CIRCOLARE DEL 29/02/2016

PRESCRIZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI

Cancellazione del debito di Equitalia: le cartelle esattoriali prescrizione in 5 anni per tutti i debiti (Cass. n° 20213/15)

I giudici di Piazza Cavour – con la recente ordinanza n° 20213/15, depositata in data 08.10.2015 – hanno affrontato nuovamente la dibattuta questione circa la prescrizione da applicare ai crediti erariali (fiscali e contributivi/previdenziali), ossia se quella quinquennale[1] (art. 2948 c.c.) o decennale (art. 2946 c.c.).
Ebbene, con una motivazione estremamente concisa, la Corte di Cassazione – in questa circostanza processuale – ha “virato” verso un orientamento a favore del contribuente, stabilendo che opera la prescrizione quinquennale[2], laddove il titolo esecutivo sia unicamente costituito dalla cartella esattoriale dell’Ente di Riscossione (ad esempio Equitalia).
In particolare, la prescrizione ordinaria (decennale) “è tutta riferibile a titoli di accertamento-condanna (amministrativi o giudiziali) divenuti definitivi” (inclusi quindi, a titolo esemplificativo, gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate) e “non già invece le cartelle esattive” (ovvero quelle notificate a mente dell’art. 36bis – art. 36ter, D.P.R. n° 600/73[3]).
In effetti, proseguono i giudici su tale aspetto, i provvedimenti esattoriali di Equitalia (ma non solo) sono “adottati in virtù di procedure che consentono di prescindere dal previo accertamento dell’esistenza del titolo” (atto di accertamento emesso direttamente dall’Ente impositivo) e pertanto le cartelle di pagamento “non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività del titolo di accertamento”.
A ciò si aggiunga – ad ogni modo – un ulteriore elemento di valutazione: al fine di rendere pacifica l’applicabilità del termine di prescrizione ordinario (dieci anni), il creditore chiamato in causa (sia l’Ente della Riscossione, sia l’Ente impositivo, come vedremo in seguito) dovrà produrre in giudizio il “titolo definitivo” della pretesa, ossia “il provvedimento amministrativo di accertamento o la sentenza passata in giudicato”, emessi “antecedentemente all’emissione delle cartelle”; in difetto opererà la prescrizione quinquennale.
In considerazione di questo aspetto prettamente processuale (ossia il deposito in corso di causa dell’originario titolo esecutivo emesso dal creditore), potrebbe rilevarsi una valida strategia difensiva quella di “coinvolgere” (nel contenzioso) esclusivamente l’Ente di Riscossione, escludendo il “reale” creditore della pretesa erariale.
La base normativa di detta scelta è rinvenibile nell’art. 39, D. Lgs. n° 112/99 (rubricato difatti come “chiamata in causa dell’ente creditore”), il quale stabilisce che “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.
A ben vedere, di sovente l’Ente della Riscossione sostiene – erroneamente – che non può/non deve replicare alle eccezioni formulate in tema di estinzione del credito (prescrizione), in quanto rappresentano contestazioni da ricondurre direttamente al titolare della pretesa (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, ect), dunque adotta una condotta processuale disinteressata ed inerte; detto scenario convergerà a tutto vantaggio del contribuente.
In buona sostanza, l’onere della prova (il deposito del titolo esecutivo originario, al fine di usufruire della prescrizione decennale) dovrà essere assolto dall’Ente di Riscossione (laddove sia l’unica controparte processuale), pertanto in caso di assenza di tale produzione documentale – secondo l’orientamento della S.C. espresso nel provvedimento in commento – la prescrizione che opererà sarà quella quinquennale.
In conclusione, potrebbero beneficiare della prescrizione decennale unicamente i provvedimenti “accertativi” della Pubblica Amministrazione (ad esempio avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate) e le sentenze passate in giudicato.
Dal novero di detta categoria devono essere dunque escluse le cartelle esattoriali delle società di Riscossione (Equitalia, ad esempio), ma anche altri provvedimenti, come l’avviso di liquidazione di imposte (in tema di imposta di registro, D.P.R. n° 131/86) e, probabilmente, anche i c.d. avvisi di addebito dell’Inps (disciplinati dall’art. 28 e art. 30, D.L. n° 78/10).

A questo punto, alla luce soprattutto della possibilità di impugnare le cartelle esattoriali indicate nell’estratto di ruolo di Equitalia (vedi http://equitalia-noproblem.blogspot.it/2015/10/cassazione-sezione-unite-lestratto-di.html), consigliamo al contribuente di procedere in questo modo:
a) chiedere ad Equitalia l’estratto di ruolo;
b) verificare se le cartelle esattoriali sono riconducibili a debiti prescritti;
c) in tal caso, presentare istanza di autotutela direttamente ad Equitalia e, per completezza all’Ente creditore (Inps, Inail, Agenzia delle Entrate);
d) in caso di diniego (ipotesi assai probabile), impugnare il provvedimento nei termini di legge (quindi in base alla natura dell’asserito credito).   

 

CIRCOLARE DEL 15/01/2016

LEGGE DI STABILITA’ 2016

 

IMMOBILI

Abitazioni principali In generale esenti da Tasi e da Imu. Se sono di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) sono soggette a Imu, con aliquota dal 4 al 6 per mille e detrazione di 200 euro. Soggette a Tasi, se prevista dal Comune

Comodati Riduzione al 50% della base imponibile. Imposta stabilita con aliquota ordinaria. Il comodante deve risiedere nello stesso Comune del comodatario e può avere solo un’altra abitazione, nel medesimo Comune, destinata a propria abitazione principale

Abitazioni assimilate Abitazioni dei residenti all’estero, delle cooperative a proprietà indivisa assegnate ai soci o studenti universitari che siano soci anche se non hanno la residenza, alloggi sociali, ex casa coniugale assegnata dal giudice, immobili dei militari. Abitazione degli anziani o disabili che hanno la residenza in istituti di ricovero o sanitari

Affitti concordati Imu e Tasi ridotte al 75 per cento, considerando l’aliquota deliberata dal Comune

Ristrutturazioni. Via libera alla proroga fino al 31 dicembre 2016 di tutti i bonus per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio. A partire dalla maxi-detrazione del 50% su manutenzioni, ristrutturazioni, restauro e risanamento conservativo, confermata dalla legge di Stabilità 2016. Una possibilità per gli «incapienti» Per le spese sostenute nel 2016, legate a interventi effettuati in «parti comuni degli edifici condominiali», le persone fisiche e gli imprenditori in contabilità semplificata, che, anche a seguito delle detrazioni forfettarie Irpef, risultano incapienti, hanno una chance in più: possono non usare direttamente la detrazione del 65%, optando per la «cessione del corrispondente credito» ai fornitori del condominio che hanno effettuato gli interventi

IMPRESE

Superammortamenti. L’agevolazione dei superammortamenti è possibile sia per l’acquisizione diretta sia per quella derivante da contratti di locazione finanziaria. L’agevolazione compete ai fini delle imposte sui redditi e non dell’Irap e consiste nel riconoscimento di una maggiorazione del 40% del costo fiscalmente ammesso in deduzione a titolo di ammortamento (o di canone di leasing). A fronte di una spesa di 100 si può ammortizzare 140. Dal punto di vista operativo, in assenza di transito al conto economico, si procederà a una deduzione extracontabile. È esclusa qualsiasi rilevanza agli effetti della determinazione di eventuali plusvalenze o minusvalenze all’atto del realizzo del bene.

Regimi agevolati dei minimi e forfettari. Dal 2016 il regime forfettario diventa più conveniente, grazie, in primo luogo, all’innalzamento di 10mila euro (e 15mila euro per le attività professionali ed equiparate) delle soglie di ricavi e compensi previste per l’accesso. Occorre, quindi, verificare se i ricavi di competenza o quelli incassati dagli imprenditori che hanno applicato il regime dei minimi ovvero i compensi percepiti nel 2015 superano i nuovi limiti. Non rileva, quindi, l’eventuale superamento della soglia precedentemente stabilita (da parte, ad esempio, dei professionisti che avessero conseguito più di 15mila euro) se si rientra comunque nell’ambito di quella nuova (di 30mila euro). Nell’anno di inizio dell’attività si può sempre fruire di tale regime, a prescindere dai corrispettivi effettivamente conseguiti.  

Si può accedere al regime forfettario se nell’anno precedente sono stati percepiti redditi di lavoro dipendente e assimilati di ammontare non superiore a 30mila euro e la verifica è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato. È stata, infine, ridotta del 35% la contribuzione ordinaria degli artigiani e commercianti e abolita la precedente possibilità di esonero dal minimale.

Credito d’imposta fino al 20% per investimenti in alcune aree del Mezzogiorno realizzati nel quadriennio 2016-2019. Il bonus, che spetta solo nel rispetto delle condizioni previste per aiuti in deroga alla disciplina comunitaria, si calcola sull’eccedenza del costo dei beni strumentali nuovi rispetto agli ammortamenti dedotti nel periodo di imposta sugli altri beni della stessa tipologia. I destinatari Il comma 98 della Stabilità 2016 introduce un regime incentivante per gli acquisti (anche in leasing) di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite (articolo 107, paragrafo 3, lettera a, del Trattato Ue) delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, e in quelle delle regioni Molise, Sardegna e Abruzzo (articolo 107, paragrafo 3, lettera c, del trattato Ue), effettuati tra il 1° gennaio 2016 e il 31 dicembre 201.

Bonus Assunzioni.  Tra le misure più attese in materia di lavoro contenute nella legge di stabilità per il 2016 (Legge 208/15) si colloca certamente il nuovo incentivo in favore delle assunzioni a tempo indeterminato eseguite nel corso dell’anno appena iniziato. Va subito chiarito che non si tratta della riedizione della facilitazione contenuta nella legge 190/14 e rivolta alle assunzioni/stabilizzazioni del 2015: quest’anno l’esonero contributivo non sarà totale ma verrà riconosciuto nella misura massima del 40% degli oneri previdenziali dovuti dall’azienda e, comunque, sino a 3.250 euro annui. Non si tratta di una diminuzione di poco conto. Se ipotizziamo l’assunzione di un lavoratore con una retribuzione annua di 24mila euro, effettuata da un’azienda con un carico contributivo datoriale pari al 30%, il nuovo esonero garantirà un risparmio annuo di circa 2.880 euro; con la versione precedente, l’azienda avrebbe visto ridotto il proprio costo del lavoro in misura pari a 7.200 euro circa (intera quota contributiva annua); a parità di condizioni e ferme restando le possibili dinamiche salariali, con la nuova misura incentivante il datore di lavoro dovrà pagare maggiori contributi per oltre 4.300 euro annui. Ridotta la durata del periodo agevolato che viene fissata in due anni (erano tre in precedenza). Mantenuta, invece, l’esclusione dal beneficio per i premi Inail.

 

CIRCOLARE INFORMATIVA DEL 27/10/2015

 

Rimozione delle ganasce già disposte solo dopo il pagamento integrale del debito

Niente stop al fermo amministrativo

Le nuove dilazioni non bloccano le ganasce fiscali. Dal 22 ottobre 2015, dopo l’entrata in vigore del decreto riscossione (Dlgs 159/2015), l’ammissione (o, anche, la riammissione) alla dilazione da parte di Equitalia e il contestuale pagamento della prima rata non consentono più la rimozione del fermo amministrativo già disposto sul veicolo di proprietà del debitore e, dunque, la sua circolazione. La cancellazione del provvedimento del fermo amministrativo avverrà soltanto dopo il pagamento integrale del debito.

 

Se prima dell’ammissione (o riammissione alla dilazione) e al pagamento della prima rata, non vi ha ancora provveduto, l’agente della riscossione non potrà iscrivere alcun fermo amministrativo o ipoteca, né potrà iniziare o proseguire alcun pignoramento o espropriazione forzata.

Inoltre, occorre tener presente che, seppure la possibilità di adottare il fermo è lasciata alla discrezionalità dell’agente della riscossione, la sua legittimità è subordinata ad una serie di requisiti di carattere soprattutto procedurali.

Equitalia, infatti, può adottare il fermo una volta decorso il termine di 60 giorni dalla (regolare) notifica della cartella di pagamento o di almeno 90 giorni dalla notifica dell’accertamento esecutivo, senza che il contribuente abbia provveduto al versamento (anche di una rata) delle somme contestate.

In ogni caso, prima dell’esecuzione del fermo, l’agente della riscossione è tenuta a notificare al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri una comunicazione preventiva, con la quale li avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione.

Entro il termine di 30 giorni, il debitore o i coobbligati possono comunque dimostrare che il bene mobile è strumentale all’attività di impresa o della professione, recandosi presso lo sportello del concessionario. Tale dimostrazione, in particolare, dovrà avvenire non solo con l’esibizione dei libri contabili, ma anche mediante l’indicazione delle effettive esigenze operative che il bene soddisfa.

Pertanto, una volta iscritto, resta ferma la possibilità per il contribuente di eccepire l’illegittimità del fermo nel caso di omessa notifica dell’atto presupposto, quale la cartella di pagamento o l’avviso di accertamento (articolo 19, comma 3, del Dlgs 546/1992) o, qualora la cartella di pagamento sia stata annullata.

Inoltre, il fermo amministrativo potrebbe essere censurato per ulteriori cause di illegittimità, qualora, ad esempio, non vi sia nell’atto di fermo una parte motiva, o non sia stato indicato il responsabile del procedimento.

Al verificarsi, dunque, anche solo di una i tali circostanze, il contribuente potrà, entro il termine di 60 giorni impugnare il provvedimento di iscrizione del fermo dinanzi alla giurisdizione tributaria (Commissioni tributarie), nella misura in cui il credito tutelato abbia natura tributaria oppure dinnanzi alla giurisdizione ordinaria, se i debiti che hanno fatto scattare il fermo riguardano, ad esempio, contributi previdenziali.

Nell’ipotesi in cui, invece, il fermo amministrativo dovesse essere stato iscritto a causa di una pluralità di debiti di diversa natura (sia tributaria che non), il debitore dovrà comunque proporre ricorsi separati dinanzi ai diversi giudici.

 

CIRCOLARE INFORMATIVA DEL 04/10/2015

BONUS ASSUNZIONE GIOVANI GENITORI

L’inps eroga € 5.000 al datore di lavoro che assume genitori under 36 anni

 

Ancora disponibili quasi 9 milioni di Euro, per il bonus Giovani Genitori. l’INPS ha comunicato che il credito a disposizione per l’incentivo, aggiornato al 29/09/2015, è pari complessivamente ad 8.775.000 Euro.

Il bonus, a disposizione dei datori di lavoro  pari a 5.000 Euro, è finalizzato all’assunzione di genitori precari o disoccupati che non abbiano ancora compiuto 36 anni: hanno diritto all’agevolazione le aziende che assumono a tempo indeterminato questi soggetti, o che trasformano un contratto a termine.

Per godere dell’incentivo, devono essere rispettate determinate condizioni:

REQUISITI DEL LAVORATORE: Per poter fruire del beneficio, il lavoratore non deve aver compiuto 36 anni, deve avere almeno un figlio che non abbia compiuto 18 anni, e deve iscriversi nella Banca Dati Giovani Genitori. Per potersi iscrivere, il lavoratore deve essere titolare di uno dei seguenti rapporti: -contratto di lavoro subordinato a termine; – contratto di somministrazione (interinale); – contratto intermittente; – collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) o contratto a progetto (co.co.pro); – lavoro occasionale accessorio. Se il contratto di lavoro è terminato, il lavoratore deve registrare lo stato di disoccupazione presso un Centro per l’impiego, un Centro Servizi per il lavoro o un’Agenzia per il lavoro. Il beneficio si perde per: – compimento della maggiore età del figlio; – compimento del trentaseiesimo anno d’età; – assunzione a tempo indeterminato. In caso di nuova assunzione a tempo indeterminato, e successivo licenziamento, se sussistono ancora le condizioni il lavoratore è libero d’iscriversi alla banca dati di nuovo.

COME ISCRIVERSI ALLA BANCA DATI DELL’INPS: Per iscriversi alla banca dati si deve accedere al sito dell’Inps col proprio PIN; l’iscrizione si effettua nella sezione dei servizi al cittadino, col seguente percorso: “Servizi al cittadino” – “Autenticazione con Pin” – “Fascicolo previdenziale del cittadino” – “Comunicazioni telematiche” – “Invio comunicazioni” – “Iscrizione banca dati giovani genitori”. Ci si può anche iscrivere collegandosi al sito del Dipartimento della Gioventù, utilizzando sempre il Pin dell’Inps.

REQUISITI DELLE AZIENDE: Hanno diritto all’incentivo le aziende private (comprese le imprese sociali) e le società cooperative, e sono esclusi dall’incentivo gli enti pubblici (economici e non), in generale, i datori di lavoro non qualificabili come imprenditori. Il contratto di lavoro deve essere a tempo indeterminato o di apprendistato, e l’assunzione non deve essere obbligatoria[1]. Inoltre, per ricevere il bonus, le imprese devono essere in possesso del Durc (ovvero essere in regola con gli adempimenti previdenziali), e non devono aver effettuato: – licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o per riduzione del personale, nei 6 mesi precedenti; – sospensioni dal lavoro o riduzioni dell’orario di lavoro per crisi aziendale, ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione industriale; – precedenti assunzioni di almeno 5 dipendenti utilizzando la stessa agevolazione. Il lavoratore per il quale si chiede l’incentivo non deve essere stato licenziato dalla stessa azienda, o da impresa controllata o collegata, nei 6 mesi precedenti all’assunzione.

Tutti gli adempimenti sono effettuati con l’assistenza dello studio.

 

CIRCOLARE INFORMATIVA DEL 09/09/2015

Incentivi e nuove imprese. Al traguardo il regolamento per i prestiti a tasso zero rivolti a micro e piccole aziende di giovani e donne

L’autoimprenditorialità si aggiorna

Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» n.206 del 5 settembre scorso diventa a tutti gli effetti operativa la riforma degli incentivi per l’autoimprenditorialità. Il ministero dello Sviluppo economico, infatti, ha definito, con decreto n. 140/2015, i criteri e le modalità di concessione delle agevolazioni a favore delle nuove imprese giovanili e femminili, dando attuazione al «restyling »del titolo I del dlgs n. 185/2000, per come sancito dal decreto Destinazione Italia (dl n. 145/2013).

Di fatto, però, restano ancora scoperte le caselle relative ai fondi effettivamente disponibili e alla prima data utile per la presentazione delle domande. Per quest’ultimo aspetto, infatti, bisognerà attendere il termine di apertura dello sportello, presso Invitalia – soggetto gestore – da parte di un prossimo decreto dirigenziale.

Gli incentivi sono destinati alle imprese di micro e piccola dimensione con sede – prima novità rispetto al passato – nell’intero territorio nazionale. Ulteriore elemento di novità risiede poi nella natura della compagine sociale. Le imprese devono cioè essere costituite sotto forma di società (comprese cooperative) formate da non più di 12 mesi alla data di presentazione della domanda con possesso della qualifica di «impresa giovanile» o, è questa l’innovazione, «femminile». In sostanza, la compagine societaria deve essere composta, per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione, da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni ovvero da donne. La domanda di agevolazione potrà essere presentata anche da persone fisiche che intendano provvedere alla costituzione di una nuova società.

Un altro aspetto innovativo rispetto alla precedente formulazione dell’incentivo sta nel fatto che il sostegno pubblico si concretizza in un finanziamento a tasso zero, a copertura del 75% delle spese ammissibili, che non potranno eccedere l’importo massimo di 1,5 milioni. Sparisce, quindi, il contributo a fondo perduto.

I progetti di investimento possono riguardare la produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli, oppure l’erogazione di servizi in qualsiasi comparto. Sono incluse anche le iniziative del commercio e turismo, nonché la fruizione dei beni culturali e l’innovazione sociale.

Rientrano tra le spese ammissibili fabbricati e opere murarie, macchinari, impianti e attrezzature, programmi informatici e servizi per l’Itc, brevetti, licenze e marchi, consulenze specialistiche. Saranno finanziabili anche i costi sostenuti per la formazione specialistica dei soci e dei dipendenti.

Il finanziamento agevolato dovrà essere restituito entro otto anni ma l’impresa dovrà dimostrare la copertura del 25% dell’investimento complessivo con mezzi propri o finanziamenti di terzi.

 

CIRCOLARE DEL 31 LUGLIO 2015

Lavoro a progetto
Dal 25 giugno 2015, con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.81/2015, non è più possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto ai sensi degli artt-61-69bis del Decreto Legislativo 276/2003.
I contratti di questo tipo già stipulati a tale data, continueranno ad essere normati in base alla disciplina previgente.
A partire dal 1° gennaio 2016, le collaborazioni di tipo parasubordinato o nella forma del lavoro autonomo saranno considerate come lavoro subordinato, qualora si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro.
Tale presunzione di subordinazione non opererà nei seguenti casi:
per le collaborazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, siglata dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, anche per venire incontro a particolari esigenze produttive ed organizzative del settore di riferimento;
per le prestazioni intellettuali rese da soggetti iscritti ad Albi professionali;
per le attività prestate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti ai collegi ed alle commissioni, esclusivamente in relazioni alle loro funzioni;
per le prestazioni rese a fini istituzionali nelle associazioni sportive e dilettantistiche riconosciute dal Coni.
Le parti possono richiedere alle commissioni di certificazione di attestare l’assenza dei requisiti ostativi suddetti. Il lavoratore, in questa fase, potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
A decorrere dall’1 gennaio 2016 i datori di lavoro che assumono coloro con cui hanno avuto un precedente rapporto di collaborazione, anche a progetto, o i titolari di partita IVA con cui hanno intrattenuto un rapporto di lavoro autonomo, godono del beneficio dell’ l’estinzione degli eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali legati all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro antecedenti.
I datori di lavoro che decideranno di beneficiare di questa sanatoria dovranno sottoscrivere con il lavoratore dei verbali di conciliazione stragiudiziale – in una delle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o presso le commissioni di certificazione – e non potranno recedere dal rapporto di lavoro nei dodici mesi successivi all’assunzione, salvo che non si configuri un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

 

CIRCOLARE DEL 25/06/2015

Jobs act. Pubblicato in Gazzetta il decreto legislativo 81/2015 sul codice dei contratti, in vigore da oggi

Co.co.co, subordinazione estesa

Basta l’organizzazione interna per applicare le norme del lavoro dipendente

In vigore da oggi il decreto legislativo 81/2015, il codice che riscrive le norme sui contratti e sulle sanzioni. Sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri è stato anche pubblicato il decreto legislativo 80/2015 sugli strumenti per conciliare vita e lavoro. La novità forse più dirompente del “codice dei contratti” è l’abolizione del lavoro a progetto, con la ridefinizione dei confini tra lavoro subordinato e lavoro autonomo (o meglio tra il campo di applicazione delle rispettive discipline) che l’accompagna. Per comprendere appieno la portata del cambiamento occorre partire dall’articolo 1 del decreto, nel quale si afferma che «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». L’espressione, enunciata anche nella legge delega quale criterio direttivo cui attenersi, è ripresa dal Dlgs 368/2001 sul contratto a termine, che a sua volta recepisce un’indicazione contenuta nella direttiva europea 1999/70. Tuttavia, questa affermazione assume oggi, nel quadro complessivo del Jobs act, una portata nuova, quasi un manifesto programmatico della riforma. L’idea di fondo che guida l’intervento è infatti quella di “promuovere” il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, considerato il contratto “standard”, rispetto a tutte le altre forme di lavoro, anche autonome. E quindi, se è vero che il contratto a progetto era stato pensato (nel 2003) come un argine al dilagare di collaborazioni spesso non genuinamente autonome, la sua abolizione non va affatto nella direzione dell’allargamento della possibilità di ricorso al lavoro autonomo. Anzi, è vero il contrario. Il confine tra autonomia e subordinazione si sposta a favore della seconda, allargando il campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato. Quest’ultimo ricomprende ora non solo le prestazioni caratterizzate dall’eterodirezione, ma anche quelle «le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo del lavoro». È quindi sufficiente che sia ravvisabile nella prestazione l’elemento dell’etero-organizzazione, certamente più diffuso e anche più facile da provare, per far scattare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, anche laddove la prestazione non sia eterodiretta. Da oggi in poi, tutte le collaborazioni eterodirette sono (come prima) certamente subordinate, ma non tutte le collaborazioni soggette alla disciplina del lavoro subordinato sono eterodirette. Si discuterà a lungo, tra i giuristi, se le collaborazioni etero-organizzate diventino subordinate o più semplicemente siano soggette alla relativa disciplina, senza mutare la loro natura. Così come resta da definire quale spazio residui tra coordinamento ed etero-organizzazione, e quindi quali collaborazioni coordinate e continuative possano legittimamente essere instaurate e rimanere genuinamente autonome al di fuori degli specifici casi di non applicazione dell’articolo 2 del decreto 81 (accordi sindacali specifici di settore, professionisti iscritti ad albi, amministratori e sindaci, società sportive). Sta di fatto che il campo del lavoro autonomo, fuori da tali eccezioni, si restringe fino a coincidere sempre di più con quei rapporti in cui è il collaboratore a poter liberamente determinare luogo, tempi e modalità della prestazione. L’eliminazione del vincolo del progetto non lascia, quindi, campo libero all’espandersi delle co.co.co, che saranno viceversa soggette a vincoli ancora più stringenti. Viene invece meno un equivoco che la tipizzazione contrattuale del “lavoro a progetto” aveva, sia pur involontariamente, alimentato: quello che bastasse l’individuazione di un progetto per essere poi liberi di atteggiare il rapporto a proprio piacimento.

 

CIRCOLARE DEL 16/05/2015

Cartelle previdenziali con prescrizione breve

La mancata opposizione non consente di applicare il termine di dieci anni invece di quello quinquennale

I crediti previdenziali contenuti in una cartella di pagamento notificata, e non opposta, si prescrivono in cinque anni, anziché in dieci, non potendosi applicare la prescrizione prevista per le sentenze di condanna passate in giudicato. Ad affermarlo è stata la prima sezione lavoro del tribunale di Roma, con la sentenza 4549 depositata il 6 maggio.

Una società ha impugnato delle intimazioni di pagamento notificatele il 18 marzo 2014, eccependo la prescrizione del credito Inps relativo a contributi previdenziali insoluti e maturati nel 2001. Sottostanti alle intimazioni vi erano due cartelle di pagamento notificate da Equitalia, la prima il 14 marzo 2003 e la seconda il 19 febbraio 2004, e divenute definitive perché non opposte dalla società.

L’agente della riscossione si è costituito eccependo di avere interrotto il decorso del termine prescrizionale con la notifica del preavviso di fermo in data 30 giugno 2007. Il tribunale di Roma, modificando il suo precedente orientamento, e quello più recente della Cassazione, ha dato ragione alla società.

In estrema sintesi, la giurisprudenza di legittimità più recente (Cassazione 4338/2014), alla cartella di pagamento non opposta nei termini ha ritenuto applicabile l’articolo 2953 del codice civile. In base a ciò, i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione inferiore a dieci anni si prescrivono comunque in dieci anni quando riguardo ad essi è intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato. In buona sostanza secondo questa impostazione, che si applicherebbe anche al caso di specie, dal cosiddetto “passaggio in giudicato” della cartella esattoriale discenderebbe la trasformazione della prescrizione propria dei crediti previdenziali in quella ordinaria decennale.

Invece secondo un diverso orientamento adottato dalla Corte di appello di Catanzaro, applicare questi principi della Cassazione significherebbe non tenere conto della diversa natura dei «titoli» che vanno considerati: uno (la sentenza) di formazione giudiziale, l’altro (la cartella) formato unilateralmente dall’ente previdenziale/creditore. Una diversità così specifica, per i giudici catanzaresi, non rende possibile estendere per analogia alle cartelle la norma che riguarda espressamente le sentenze (titoli di formazione giudiziale).

Il tribunale di Roma, aderendo all’orientamento tracciato dalla Corte d’appello di Catanzaro nell’aprile 2014, ha specificato che solo l’accertamento giudiziale può determinare l’allungamento del periodo prescrizionale di un credito, proprio per effetto dell’intervento del giudice che ha verificato la fondatezza della pretesa azionata.

Viceversa, in mancanza di una previsione normativa in tal senso, non si vede alcuna giustificazione che permetta di allungare i tempi di prescrizione solo perché una parte in causa non ha impugnato l’iscrizione a ruolo. L’estensione della prescrizione richiede un accertamento giudiziale della fondatezza della pretesa dell’ente creditore.

Pertanto la non opposizione della cartella di pagamento non può determinare una modificazione del regime della prescrizione quinquennale dei crediti previdenziali.

 

CIRCOLARE DEL 15/05/2015

Il nuovo Durc si prepara al debutto

La verifica verrà compiuta direttamente da parte dei destinatari della certificazione

La nuova procedura di rilascio online del documento unico di regolarità contributiva (Durc) «sarà presto attiva». Ad annunciarlo è il ministero del Lavoro che giovedì prossimo presenterà ufficialmente le novità in una conferenza stampa.

Sembra dunque prossimo al completamento il percorso indicato dal decreto legge 34/2014 con cui è stata prevista una semplificazione per il rilascio del Durc. Un percorso che ha richiesto molto più tempo di quanto stabilito, dato che in base allo stesso Dl 34/2014 il ministero del Lavoro avrebbe dovuto emanare entro il 20 maggio dell’anno scorso un decreto attuativo.

Rispetto al sistema attualmente vigente, infatti, le linee guida a cui si dovrà conformare il provvedimento di regolamentazione prevedono la creazione di una piattaforma telematica attraverso la quale chiunque vi abbia interesse, compresa l’impresa stessa, potrà verificare in tempo reale la regolarità contributiva nei confronti dell’Inps, dell’Inail e delle Casse edili (per le imprese del relativo comparto).

In sostanza, l’interrogazione fornirà una sorta di visto che avrà validità di 120 giorni dalla data di acquisizione: questo impianto porterà, di fatto, a sostituire a ogni effetto il documento unico di regolarità contributiva, ovunque previsto, salvo specifiche ipotesi di esclusione, che verranno espressamente individuate dal decreto attuativo.

Finora è la singola azienda che ha necessità di utilizzare il Durc, perché per esempio gestisce un servizio in convenzione, a dover richiedere il documento e poi, una volta ricevuto, inviarlo al soggetto richiedente. In futuro, invece, dovrebbe essere direttamente il soggetto destinatario a effettuare la verifica accedendo al sistema online.

Il vantaggio maggiore consiste nel fatto che la nuova “certificazione” sarà praticamente a 360 gradi poiché – nelle ipotesi di godimento di benefici normativi e contributivi – il sistema dovrebbe individuare anche le tipologie di pregresse irregolarità di natura previdenziale e in materia di tutela delle condizioni di lavoro, da considerare ostative alla regolarità (articolo 1, comma 1175, della legge 296/2006). Inoltre l’interrogazione assolverà all’obbligo di verificare la sussistenza del requisito di ordine generale previsto dall’articolo 38, comma 1, del codice degli appalti pubblici (Dlgs 163/2006).

In effetti la prossima attivazione del Durc online, però, suscita qualche perplessità presso i consulenti del lavoro. «Ancora oggi gli archivi Inps non sono perfettamente aderenti alle posizioni delle aziende e quindi capita che il sistema rilevi irregolarità anche quando non ci sono – osserva Vincenzo Silvestri, vicepresidente con delega ai rapporti con l’Inps del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro –. Con la procedura attuale un datore di lavoro riceve una notifica e ha tempo per mettersi in regola. Nel momento in cui saranno le amministrazioni interessate a verificare direttamente la regolarità contributiva dei fornitori, tutto sarà affidato all’automatismo della procedura Durc online, con il rischio che le presunte anomalie che produrrà il sistema andranno a complicare sempre di più la vita delle aziende invitate a regolarizzare posizioni fantasma».

Per un efficace funzionamento della nuova procedura non solo sarà necessaria una puntuale interconnessione tra le banche date degli enti coinvolti ma occorrerà, altresì, che la stessa preveda il raccordo con la disciplina che attualmente regola il processo di rilascio del Durc, ad esempio in materia di preavviso di irregolarità. Dovrà, quindi, essere sempre esperibile – prima di dichiarare l’eventuale irregolarità – l’invito al soggetto inadempiente di “sistemare” la propria posizione nel termine di 15 giorni o di far valere la sussistenza di eventuali crediti da compensare.

Il completamento del percorso di semplificazione del Durc era stato sollecitato una decina di giorni fa dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. «Nei giorni scorsi – afferma il consigliere Vito Jacono – abbiamo presentato all’Inps una richiesta di chiarimenti sul Durc all’Inps, ma dall’istituto di previdenza ci hanno risposto che tutti i problemi erano stati risolti. Siamo in attesa di testare con mano questa innovazione».

 

CIRCOLARE DEL 13/05/2015

 

Le condizioni per la Naspi –  

La disoccupazione deve essere involontaria – Niente assegno in caso di dimissioni

L’Inps, con la circolare 94/2015, illustra le modalità di riconoscimento e di applicazione delle regole relative alla Naspi (nuova assicurazione sociale per l’impiego) che, a decorrere dal 1° maggio 2015, assiste tutti coloro che perdono involontariamente il lavoro e hanno i requisiti per ottenere la nuova prestazione a sostegno del reddito.

L’istituto di previdenza ricorda che tra le condizioni di accesso, oltre allo status di disoccupato e al possesso di contributi per almeno 13 settimane nei 4 anni che precedono la perdita del lavoro, l’interessato deve anche aver svolto 30 giornate di lavoro nei dodici mesi antecedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Con riferimento a tale ultimo requisito, l’Inps afferma che i giorni di lavoro devono essere effettivi e che non rileva il numero delle ore. Si tratte delle stesse giornate inserite nel flusso Uniemens e contraddistinte dal codice “S”.

Con riferimento, invece, all’arco temporale (rispettivamente 4 anni o 12 mesi) in cui ricercare la presenza delle settimane e delle giornate utili, la circolare precisa che gli eventi di malattia e infortunio sul lavoro (senza integrazione del datore di lavoro), la cassa integrazione a zero ore nonché le assenze per permessi fruiti per un familiare con handicap grave, verificatisi nei 12 mesi precedenti, sono considerati neutri e determinano un ampliamento, pari alla loro durata, di entrambi i periodi previsti dalla legge.

Al contrario, gli eventi di maternità obbligatoria e congedi parentali (verificatisi o in corso sempre nei 12 mesi precedenti), ampliano solo il periodo di 12 mesi in cui ricercare le 30 giornate di lavoro, se all’inizio dell’astensione risulta già versata o dovuta contribuzione.

I tecnici dell’Inps ricordano che per ricevere la Naspi la disoccupazione deve essere involontaria. Non rilevano, dunque, le cessazioni per dimissioni tranne quelle per giusta causa. La circolare riporta un elenco di situazioni di giusta causa di dimissioni, comprese quelle presentate durante il periodo tutelato di maternità, in cui vige il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Nel documento si ricorda che la Naspi spetta per un numero di settimane pari alla metà di quelle coperte da contribuzione degli ultimi quattro anni, con esclusione dei periodi già interessati dall’erogazione di prestazioni di disoccupazione, anche anticipate in unica soluzione. Con riferimento alla durata, inoltre, la circolare offre un quadro di raccordo tra la Naspi e le precedenti prestazioni di sostegno del reddito che non erano rapportate all’esistenza di contribuzione precedente. La regolamentazione è supportata da una serie di esempi.

Possono ricevere la Naspi (in presenza dei requisiti) tutti i lavoratori dipendenti (esclusi alcuni lavoratori agricoli e pubblici) compresi gli apprendisti, i soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro in forma subordinata, nonché il personale artistico con rapporto di lavoro dipendente. Per queste due figure, la Naspi è riconosciuta per intero anche se la relativa contribuzione di finanziamento segue il già previsto meccanismo di allineamento progressivo che giungerà a regime nel 2017.

 

CIRCOLARE DEL 06/04/2015

RIMBORSO O COMPENSAZIONE DEL CREDITO IVA TRIMESTRALE

L’Agenzia ha recentemente approvato il nuovo modello IVA TR per la richiesta di rimborso o l’utilizzo in compensazione del credito IVA trimestrale, da utilizzare da parte dei contribuenti che hanno realizzato nel trimestre un credito > €.2.582,28.  Le novità riguardano:

 

  • rimborsi Iva: il recepimento delle modifiche introdotte dal Dlgs 175/2014 in relazione ai contribuenti “non a rischio”, esonerati dalla presentazione della garanzia, prevedendo apposite sezioni destinate al visto di conformità/sottoscrizione equivalente ed alla dichiarazione sostitutiva;
  • split payment: indicazione dell’Iva che si è generata sulle fatture emesse nei confronti degli organi dello Stato in regime di scissione dei pagamenti;
  • rimborso prioritario: individuazione di nuove fattispecie che concorrono ad attribuire il diritto al rimborso prioritario nell’erogazione dei rimborsi;
  • modificabilità della scelta operata: inserimento di una nuova casella da utilizzare in un mod. TR integrativo al fine di revocare l’istanza di rimborso, oppure di modificarla in una istanza di compensazione o viceversa.

 

Per importi > € 5.000 è richiesta la preventiva presentazione del modello IVA TR per poter compensare il credito trimestrale dal 16 del mese successivo alla presentazione dell’istanza.

 

CIRCOLARE DEL 18/03/2015

Società estinte, controlli sotto tiro

Dopo la Ctp di Reggio cresce l’opposizione alla retroattività prevista dalla legge

Fuoco di sbarramento contro la retroattività della disposizione che fissa la sopravvivenza fiscale delle società estinte. L’articolo 28 del Dlgs 175/2014 raccoglie infatti le critiche sia dei magistrati sia degli avvocati (ma anche la Fondazione dottori commercialisti sta per scendere in campo) e non sarà facile per l’agenzia delle Entrate difendere la sua posizione che indica agli uffici la strada di applicare anche agli accertamenti in corso la norma che prevede l’ultrattività delle società estinte. Infatti, come si legge circolare 31/E del 30 dicembre 2014, l’agenzia delle Entrate prende atto della norma in deroga al regime delle società cancellate, ex articolo 2495 del Codice civile, chiarendo che, «trattandosi di norma procedurale, si ritiene che la stessa trova applicazione anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto in commento». Quindi la norma si applicherebbe anche agli atti oggetto di contenzioso e impugnati prima del 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del Dlgs 175/2014.

«Sarebbe una pazzia – spiega Mario Cicala, il presidente della Commissione tributaria regionale della Toscana ma soprattutto della sezione Tributaria della corte di Cassazione – pensare alla retroattività di una norma che avrebbe la peculiarità di far resuscitare società ormai scomparse. E – ha aggiunto ieri il magistrato in occasione dell’inaugurazione a Firenze dell’anno giudiziario 2015 in Toscana – il fatto che la commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia con la sentenza 5/2/2015 redatta da Massimo Crotti abbia affermato che la norma trova applicazione solo per il futuro tranquillizza noi giudici di appello e di cassazione che conseguentemente dovremo applicarla solo fra qualche anno. E solo allora ci interrogheremo sulla strana posizione in cui verrà a trovarsi la società defunta sotto tutti i profili salvo quello tributario. Con l’inquietante prospettiva che un simile trattamento venga esteso anche alle persone fisiche».

E se la posizione del vertice della Cassazione fiscale è sin troppo chiara, pochi dubbi lasciano anche gli avvocati. In una nota diffusa ieri dal Consiglio nazionale forense (commissione interna per le problematiche in materia tributaria) si ribadisce che «la proclamazione della natura procedimentale, di immediata applicazione dell’articolo 28 del decreto semplificazioni, appare non giuridicamente protetta» ed è in grado di «generare un enorme contenzioso che probabilmente non era nelle intenzioni del legislatore».

Inoltre, la retroattività va anche valutata sotto il profilo della compatibilità con i principi generali contenuti negli articoli 3 e 10 dello Statuto del contribuente che stabiliscono, rispettivamente, la non retroattività delle disposizioni tributarie e tutelano l’affidamento e la buona fede; così come è da respingere la tesi della natura non tributaria della disposizione racchiusa nell’articolo 28 in quanto la modifica legislativa attiene proprio all’attività impositiva.

Per non dire dell’eccesso di delega rispetto alla legge 23/2014 in quanto «il regime dell’ultrattività delle società estinte non è ontologicamente riconducibile ai principi della revisione sistematica e del riordino dei regimi fiscali (lettera a), né a quelli della revisione degli adempimenti (lettera b) né tanto meno a quelli della revisione delle funzioni dei sostituti d’imposta (lettera c) contenuti nell’articolo 7 della legge delega».

Anche i doottori commercialisti sono molto critici sulla possibilità di retroattività della norma. «Come Fondazione nazionale dottori commercialisti- spiega Pasquale Saggese, responsabile dell’area tributaria della Fondazione stessa – riteniamo l’applicazione retroattiva della norma molto discutibile. E del tema ci occuperemo in un prossimo contributo scientifico partendo dalla premessa che già con la legge di Stabilità 2015, che ha modificato l’articolo 36 del Dpr 602/1973, sarà possibile attivare la responsabilità dei soci anche per imposte diverse dall’Ires»

 

CIRCOLARE DEL 03/03/2015

RATEAZIONI EQUITALIA: Nuova chance per i morosi

Nuova chance per i contribuenti che sono decaduti da una rateazione di Equitalia. La legge 11 di conversione del decreto “milleproroghe” ha infatti previsto la rimessione in termini per quanti fossero venuti meno al piano di rientro al 31 dicembre 2014. La disposizione interviene sulla norma già contenuta nell’articolo 11 bis, decreto legge 66/2014, modificandone le date di riferimento e introducendo la salvaguardia delle segnalazioni eseguite dagli enti pubblici, ai sensi dell’articolo 48 bis, Dpr 602/1973.

Mentre la precedente riapertura di termini era collegata alla entrata in vigore del decreto “del fare”, in quanto si riferiva alle decadenze maturate al 22 giugno 2013, la novità di quest’anno riguarda la generalità dei piani di rateazione, decaduti al 31 dicembre 2014. Stante l’ampiezza della formulazione legislativa, sembra che essa debba trovare applicazione nei riguardi di qualsiasi dilazione scaduta, a prescindere dalla tipologia.

A tale proposito, si ricorda che sino al 22 giugno 2013 si decadeva con il mancato pagamento di due rate consecutive. A partire da tale data, la condizione per la perdita del termine è diventata il mancato pagamento di otto rate complessive, anche non consecutive.

La rimessione in termini del Dl 66/2014 prevedeva che la rateazione scadesse con il mancato pagamento di due rate, anche non consecutive.

Si ritiene che la disposizione della legge 11/2015 consenta di “sanare” tutte le ipotesi, comprese le dilazioni straordinarie richieste in forza del Dl 66/2014. La norma in esame sembra porre una limitazione di carattere soggettivo. La stessa si riferisce infatti esclusivamente “ai contribuenti”. Ne dovrebbe conseguire che la rimessione in termini riguardi le dilazioni di tributi e non anche, ad esempio, dei contributi previdenziali e assistenziali. Se il piano di rateazione riguarda sia entrate tributarie che non, l’ammissione al nuovo programma di rientro dovrebbe essere possibile. Il problema si pone nei casi in cui il debitore abbia richiesto la dilazione esclusivamente per entrate non tributarie. In tale ipotesi, non è chiaro se la disposizione operi comunque, anche se in forza di una interpretazione sistematica la risposta dovrebbe essere positiva.

La domanda di ammissione deve essere presentata entro la fine di luglio. A tale proposito, si ricorda che dal sito di Equitalia è possibile scaricare il fac simile del modulo da utilizzare. Le regole applicative sono quelle dell’anno scorso. Ne consegue che la nuova dilazione avrà la medesima durata di quella precedente scaduta. Per questo motivo, come già precisato da Equitalia, non occorre allegare alcuna documentazione alla domanda. Si decade dalla rateazione straordinaria con il mancato pagamento di due rate, anche non consecutive. La durata massima non può comunque eccedere le 72 rate mensili. Ne consegue che se il debitore aveva in corso, in origine, una maxi rateazione di dieci anni, scaduta alla fine dell’anno scorso, la riammissione al beneficio non potrà comunque superare i sei anni. La nuova dilazione inoltre non può essere prorogata, al contrario di quanto accade nelle dilazioni ordinarie. A differenza della precedente rimessione in termini, questa volta è precisato che se ad Equitalia è già giunta una segnalazione da un ente pubblico, in base all’articolo 48 bis, Dpr 602/1973, la rateazione potrà avere ad oggetto solo le somme eccedenti l’importo della segnalazione. In proposito, si ricorda che quando un ente pubblico deve pagare crediti di importo superiore a 10mila euro lo stesso deve segnalare il credito in pagamento a Equitalia. Se quest’ultima riscontra una morosità del beneficiario almeno pari a 10mila euro viene notificato un pignoramento presso terzi, fino a concorrenza della somma a ruolo scaduta.

In pratica, questo comporta che il contribuente decaduto avrà convenienza ad anticipare quanto prima la presentazione della domanda di accesso al nuovo piano straordinario di rateazione, per evitare che nel frattempo vengano effettuate le segnalazioni.

 

CIRCOLARE DEL 02/03/2015

Cumulo di sanzioni per la retribuzione «fuori busta»

Le ispezioni, in caso di gestione non corretta dei contratti part-time, possono comportare pesanti ricadute in termini di sanzioni amministrative.

I controlli si possono focalizzare sulle eventuali discordanze tra quanto contrattualmente stabilito rispetto all’effettivo orario di lavoro svolto. È il fenomeno del «fuori busta» che prevede la presenza del lavoratore oltre l’orario pattuito, con l’erogazione di retribuzione non registrata regolarmente sul Libro unico del lavoro, con la conseguenza del mancato versamento dei relativi contributi previdenziali.

Gli scenari che si possono presentare sono molteplici. Innanzitutto, potrà trovare applicazione l’articolo 39, comma 7, del Dl 112/2008 che sanziona l’omessa o infedele registrazione dei dati che determinano differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali con una sanzione pecuniaria da 150 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori, la sanzione va da 500 a 3.000 euro.

Si avrà omissione se il lavoro straordinario (in caso di part-time verticale o misto) o il lavoro supplementare (nel part-time orizzontale) è registrato in maniera incompleta e difforme dal vero. In questo caso, l’ispettore diffiderà il datore di lavoro a regolarizzare la posizione dei lavoratori interessati (vademecum 5 dicembre 2008, sezione c, n. 5 e 6).

La sanzione sarà invece più pesante poiché non diffidabile, nel caso di registrazioni infedeli. Con risposta all’interpello 47/2011 il ministero del Lavoro ha, infatti, affermato che l’illecito si configura ogni qualvolta la quantificazione della durata della prestazione o la retribuzione effettivamente erogata non corrisponda a quella formalizzata sul Libro unico. Pertanto, l’infedeltà si avrà se la registrazione del dato è «gravemente non veritiera» rispetto alla «effettiva consistenza» della prestazione lavorativa sotto il profilo retributivo, previdenziale o fiscale.

In sostanza, la sanzione sarà applicabile nelle ipotesi del cosiddetto «fuori busta» o di indicazione delle ore di lavoro quantitativamente diversa da quelle prestate. Viceversa, non sembra corretto applicare la sanzione quando le somme erogate al lavoratore siano effettivamente quelle indicate sul Libro unico del lavoro, pur differenziandosi da quanto astrattamente previsto dal contratto collettivo applicabile. Con la nota 37 del 6 febbraio 2014 il ministero ha chiarito che in caso di «fuori busta» trovano applicazione anche le sanzioni relative alla mancata consegna del prospetto paga (articoli 1 e 3 della legge 4/1953) e, se gli importi corrisposti sono inferiori a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ci sarà l’ulteriore sanzione prevista dall’articolo 5, comma 5 del Dlgs 66/2003. Per l’omesso pagamento del lavoro supplementare o delle maggiorazioni retributive previste dal Ccnl, sarà ipotizzabile l’emissione della diffida accertativa per crediti patrimoniali (articolo 12 del Dlgs 124/2004).

 

CIRCOLARE DEL 05/02/2015

 

REVERSE CHARGE – DUBBI APPLICATIVI PER LE NUOVE FATTISPECIE:

DEMOLIZIONE – INSTALLAZIONE IMPIANTI – SERVIZI DI PULIZIA – COMPLETAMENTO

IN EDIFICI
RIFERIMENTI ART.1 C. 629 LETT. A) E D), 631 E 632 LEGGE N. 190/2014; ART. 17, CO. 6, DPR 633/72

 

Dal 01/01/2015 si applica anche per queste attività (demolizione, installazione impianti, servizi di pulizia e completamento in edifici) il meccanismo del reverse charge.

 

Tale regime si aggiunge a quanto già previsto per i lavori in subappalto in edilizia.

Per queste ulteriori attività il reverse charge (emissione di fattura senza iva) non è richiesto che i lavori siano in subappalto.

L’unica condizione è che si tratti di lavori effettuati in edifici e che il cliente sia un soggetto iva. Quindi non dovrebbe valere il reverse charge se il cliente è un privato o un condominio.

Si attendono tuttavia le necesserie istruzioni ministeriali per chiarire innanzitutto il concetto di edificio. Sembrerebbe certo che tali lavori se effettuati al di fuori di un edificio (strade, parcheggi etc) sono da assoggettare ad iva.

 

CIRCOLARE DEL 03/02/2015

Società estinte, rischi allargati

L’accertamento della responsabilità sarà più facile per soci e liquidatori delle società cancellate dal registro imprese.

Con il Dlgs 175/2014 è stato invertito l’onere probatorio, trasferendolo dall’amministrazione ai soci e liquidatori di società. Il nuovo articolo 36 del Dpr 602/73 prevede infatti che i liquidatori delle società che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. La responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.

L’agenzia delle Entrate, sul punto, ha precisato che per la graduazione possono valere le regole dell’articolo 2777 del Codice civile. Ne consegue che i liquidatori, per non rispondere in proprio degli obblighi tributari della società estinta, dovranno dimostrare di aver rispettato tale ordine di preferenza nel soddisfacimento dei creditori sociali.

Questa prova non dovrebbe richiedere particolari difficoltà, non fosse altro perché il pagamento dei debiti risulta da idonea documentazione contabile.

Con riferimento, invece, ai soci, la norma prescrive che chi ha ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione da amministratori o liquidatori, è responsabile del pagamento delle imposte dovute dalla società estinta nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il Dlgs 175/2014 ha poi previsto che il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio o associato, salva la prova contraria. Ne consegue che per non essere ritenuti responsabili, in tale contesto, occorrerà non aver percepito alcuna somma in assegnazione.

Tuttavia nell’ipotesi in cui la contestazione dell’ufficio riguardi presunti incassi in nero, sarà certamente complesso fornire una prova in tal senso. Il socio, infatti, deve provare, per non rispondere dei debiti sociali, di essere estraneo alla percezione di quel nero.

 

CIRCOLARE DEL 10/01/2015

Split payment» sulle fatture 2015

Lo split payment, cioè il nuovo meccanismo della «scissione contabile» dell’Iva introdotto dalla legge di stabilità nelle transazioni con la Pubblica amministrazione, si applica alle «operazioni fatturate a partire dal 1°gennaio 2015», mentre per le fatture emesse prima si applicheranno le vecchie regole anche se il pagamento non è ancora stato effettuato.

Con un comunicato il ministero dell’Economia conferma le anticipazioni pubblicate sul Sole 24 Ore di ieri, e spiega che il decreto attuativo del nuovo sistema, con cui la Pubblica amministrazione paga trattenendo l’Iva e riversandola direttamente all’Erario, è «in corso di perfezionamento».

L’indicazione ministeriale toglie parecchi dubbi, dal momento che, soprattutto nei rapporti con la Pubblica amministrazione, la distanza fra emissione della fattura e incasso del pagamento spesso non è breve. Non era chiaro, quindi, se applicare lo split payment alle fatture emesse lo scorso anno ma non ancora pagate, perché «a esigibilità differita» oppure per semplici problemi di cassa. Il confine fra vecchio e nuovo sistema, spiega ora il ministero, passa dalla data di emissione della fattura, e quindi tutto l’arretrato segue le vecchie regole: la decisione semplifica la vita a operatori e professionisti.

I chiarimenti ministeriali non si fermano qui, e indicano anche alle Pubbliche amministrazioni le strade che potranno essere battute per riversare l’Iva all’Erario. Per ora, in realtà, gli enti pubblici si limiteranno ad accantonare l’Iva, in attesa dell’adeguamento dei sistemi di gestione che dovrà avvenire entro il 31 marzo in vista del primo versamento, messo in calendario entro il 16 aprile prossimo. Una volta a regime, poi, gli uffici potranno scegliere fra tre opzioni:effettuare un versamento Iva per ogni fattura divenuta esigibile; prevedere un appuntamento quotidiano in cui girare all’Erario tutta l’Iva delle fatture del giorno oppure stabilire un calendario mensile in cui fissare al 16 di ogni mese l’appuntamento con il versamento cumulativo dell’Iva relativa alle fatture di quel mese.

In ciascuno di questi tre sistemi, a decidere la data di riferimento della fattura sarà l’esigibilità dell’Iva. In base alle indicazioni diffuse ieri dal ministero, il decreto attuativo darà all’amministrazione la possibilità di scegliere se l’Iva è esigibile al momento del pagamento oppure al momento della ricezione della fattura. Chiarimenti ulteriori si avranno con il varo ufficiale del decreto attuativo, che a questo punto è atteso a breve, ma è probabile che la maggioranza delle amministrazioni opterà per l’esigibilità collegata al pagamento, che allunga i tempi e può facilitare la gestione.

 

CIRCOLARE DEL 05/01/2015

Società estinte, difesa difficile

Al socio il compito di dimostrare di non aver ricevuto somme evase dall’impresa

Le nuove regole sugli effetti fiscali dell’estinzione delle società secondo le Entrate hanno effetto retroattivo. Per l’amministrazione (circolare 31/E) trattandosi di norma procedurale, essa trova applicazione anche per «attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto». È singolare, peraltro, che il medesimo documento, affrontando l’abrogazione della sanzione Iva sulla dichiarazione di intenti, ritiene non retroattiva questa abrogazione. Occorre affrontare ora una serie di questioni problematiche che, presto, si presenteranno ai contribuenti interessati.

La posizione del socio

Già in passato, gli uffici, in virtù dell’articolo 2495 del Codice civile e dell’interpretazione fornita dalle Sezioni unite della Cassazione, in ipotesi di rettifiche a società estinte potevano (o, forse, dovevano) chiedere quanto dovuto ai soci sulla base dell’attivo di liquidazione distribuito. Tuttavia sovente, gli uffici non investivano della rettifica i soci ma notificavano, di norma, l’atto alla società estinta e/o al precedente liquidatore. In tale contesto, l’asserita retroattività della disposizione sembra finalizzata a sanare attività passate piuttosto che a fornire uno strumento di recupero del credito erariale. Ritenendo retroattiva questa disposizione occorrerà in qualche modo che i soci, eventualmente non a conoscenza degli atti, siano ora interessati dall’ufficio.

Chi potrà impugnare l’atto

Bisogna poi individuare chi ha la legittimazione a difendersi, in difetto della quale, l’eventuale impugnazione è inammissibile. La società cui vengono chieste maggiori imposte non esiste più, ma per difendersi dalla pretesa e stare in giudizio qualcuno dovrà delegare un difensore. L’ex liquidatore (salvo casi di responsabilità che lo riguardino personalmente) non pare abbia tale titolarità. Certamente questa legittimazione è in capo ai soci. È necessario però, che gli atti impositivi siano loro notificati, circostanza che spesso, in passato, non si verificava.

La prova contraria

La circolare ricorda che la responsabilità dei soci e amministratori, è ora proporzionalmente equivalente alla quota di capitale e non più come per il passato limitata alle somme e/o ai beni ricevuti nel corso della liquidazione o negli ultimi due periodi d’imposta antecedenti la liquidazione. In sostanza, il socio sinora doveva limitarsi a dimostrare dalle scritture contabili di non aver ricevuto nulla in tale periodo o eventualmente rispondere per le violazioni contestate alla società entro i limiti di quanto ricevuto, salvo altre circostanze da provare a carico del fisco. Ora, in presenza di rettifiche alla società (si pensi a omesse fatturazioni) è verosimile che l’amministrazione riterrà che i soci abbiano ricevuto le somme evase in misura proporzionale alla loro partecipazione (in modo abbastanza analogo a quanto avviene in caso di società di capitali a ristretta base azionaria). Il socio dovrà quindi fornire la prova contraria (di non aver ricevuto determinate somme ritenute evase), obiettivamente non agevole, con la conseguenza che, alla fine, dovrà contestare l’esistenza della pretesa in capo alla società con tutte le difficoltà del caso non avendo in molti casi gestito a suo tempo l’impresa. Se, poi, come sembra desumersi dalla circolare, tale onere sarà richiesto anche per il passato, sono evidenti le difficoltà difensive.

Costituzionalità della norma

Il decreto legislativo 175/2013 è stato emanato in virtù degli articoli 1 e 7 della legge delega n. 23/2014. In base a tali norme i decreti di semplificazione dovevano essere orientati, fra l’altro, alla revisione degli adempimenti superflui o che davano luogo a duplicazioni, ovvero a quelli di scarsa utilità per l’Amministrazione ai fini di controllo o di accertamento, o comunque non conformi al principio di proporzionalità, nonché alla revisione delle funzioni dei Caf. Nel contesto di semplificazione pro contribuente, mal si comprende la legittimazione del legislatore delegato di introdurre un nuovo regime probatorio sfavorevole al contribuente e una deroga al codice civile pro amministrazione, peraltro, con effetto retroattivo.

 

CRCOLARE DEL 05/01/2015

A regime il bonus di 80 euro in busta paga

Tra le misure dalla legge di Stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), destinate ad incidere su una vasta platea di contribuenti si segnala il bonus Irpef che, da quest’anno, è a regime (articolo 1, comma 12 della legge 90/2014) modificando il comma 1-bis dell’articolo 13 del Tuir.

Il bonus ha conservato, di fatto, la struttura già sperimentata da maggio 2014 e si sostanzia in uno speciale credito attribuito ai lavoratori dipendenti e titolari di alcuni redditi assimilati al lavoro dipendente. Sono pertanto esclusi dal beneficio, ad esempio, i lavoratori autonomi e i pensionati.

Il credito, rapportato al periodo di lavoro, è pari a 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24mila euro. Se il reddito complessivo è superiore ma fino a 26mile euro il credito di 960 euro spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26mila, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2mila euro. Inoltre, per fruire della norma di favore è necessario che l’imposta lorda risulti superiore alla detrazione per redditi di lavoro dipendente e assimilati. Ciò porta all’esclusione dal bonus anche dei soggetti “incapienti”.

Considerando che nella sostanza la legge di Stabilità ricalca il bonus introdotto nel 2014, si devono ritenere attuali tutti i chiarimenti forniti dall’amministrazione finanziaria con le circolari 8/E del 28 aprile 2014, 9/E del 14 maggio 2014 e 22/E dell’11 luglio 2014 tra i quali si segnala la spettanza del credito anche per i soggetti fiscalmente non residenti in Italia (a condizione, naturalmente, che siano titolari di redditi imponibili nel nostro Paese) e per i lavoratori dipendenti operanti all’estero che determinano il proprio reddito sulla base delle retribuzioni convenzionali di cui all’articolo 51, comma 8-bis del Tuir.

Dal punto di vista operativo, il bonus, rapportato al periodo di paga, è attribuito automaticamente dai sostituti d’imposta ed è successivamente recuperato mediante l’istituto della compensazione; solo per gli enti pubblici e per le amministrazione dello Stato è stata introdotta la possibilità di recuperare il credito tramite una riduzione delle ritenute e dei contributi previdenziali, ciò in quanto nel modello F24 Enti Pubblici non è consentita la compensazione.

 

CIRCOLARE DEL 28/12/2014

 

La scadenza. Entro domani va pagato l’acconto per l’imposta sul valore aggiunto

Ultima chiamata per evitare sanzioni

La nuova soglia del reato di omesso versamento Iva potrà avere effetti anche sul versamento dell’acconto di domani. Il 29 dicembre scade infatti il termine per versare l’acconto Iva che dovrà poi essere scomputato dall’eventuale debito risultante dalla liquidazione dell’ultimo trimestre o ultimo mese 2014. Chi non paga rischia una sanzione del 30%, salva la possibilità del contribuente di regolarizzare la propria posizione attraverso il ravvedimento operoso.

Sempre domani occorre anche versare, se non si è già provveduto, l’Iva che risulta a debito nel 2013, pena la possibilità di incorrere nella commissione del reato di omesso versamento.

Attualmente, l’articolo 10-ter del decreto legislativo 74/2000 sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni, chi alla data di scadenza dell’acconto Iva dell’anno successivo non versi l’imposta dell’anno precedente per importi superiori a 50mila. Ne consegue, che domani scatta il reato per quei contribuenti che non hanno versato il debito risultante dalla dichiarazione del 2013, se superiore alla soglia.

Dopo l’approvazione della delega fiscale (legge 23/2014) si era pensato che il reato di omesso versamento Iva fosse destinato a essere depenalizzato. Questo sia perché la delega, che prescrive il riordino dei reati tributari, invita a concentrare l’attenzione sulle condotte connotate da simulazione, fraudolenza e falsa documentazione; sia perché l’abrogazione del reato di omesso versamento Iva, promesso dal precedente Governo, è stato confermato dal ministero dell’Economia, da ultimo in risposta al question time del 13 novembre. Tuttavia, lo schema del decreto attuativo della delega, approvato la vigilia di Natale dal Governo, non ha abolito il reato, ma si è limitato a innalzare la soglia di punibilità da 50mila a 150mila euro.

Va da sé che i contribuenti che per l’anno 2013 risultavano a debito Iva per un ammontare superiore a 50mila euro, ma non a 150mila, anche se entro domani non versassero le somme dovute, commetteranno ugualmente il reato, ma nell’immediato futuro potranno beneficiare delle nuove disposizioni. Infatti, non appena il decreto sarà approvato, per le omissioni di versamento inferiori a 150mila euro, si applicherà il «favor rei». Vale a dire che non costituendo più reato l’omesso versamento di Iva inferiore a 150mila euro, questi contribuenti non potranno essere perseguiti. E un analogo beneficio avranno tutti coloro che sono coinvolti in procedimenti penali per imposte evase sotto i 150mila euro.

 

CIRCOLARE DEL 09/12/2014

AMPLIATO IL REVERSE CHARGE

 

Per contrastare ulteriormente l’attuazione di frodi IVA, nel DDL di Stabilità si prevede l’estensione del meccanismo del reverse charge ad ulteriori cessioni di beni e prestazioni di servizi, compatibilmente a quanto previsto nella Direttiva 2006/112/UE.

Più in dettaglio, sfruttando i margini di discrezionalità previsti nell’art. 199 e nell’art. 199 – bis della Direttiva 2006/112/UE, il meccanismo del reverse charge viene esteso:

 

  • alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di

 

completamento relative a edifici;

 

  • ai trasferimenti di quote di emissione di gas ad effetto serra di cui alla Direttiva 2003/87/Ce;
  • ai trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla stessa direttiva, nonché di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
  • alle cessioni di gas e di energia elettrica nei confronti di un soggetto passivo rivenditore, come definito dall’art. 7-bis, comma 3, lett. a), D.P.R. 633/72.

 

 

CIRCOLARE DEL 06/12/2014

TRATTAMENTO FISCALE DEGLI OMAGGI E REGALIE

 

BENI NON RIENTRANTI NELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA Si premette che sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette, per l’individuazione degli omaggi da ricomprendere tra le spese di rappresentanza, è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, D.M. 19.11.2008; in particolare, è necessario che le spese:

 

  • siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

 

Ai fini IVA:

per gli omaggi di beni non rientranti nell’attività d’impresa, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h),  D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 30 del D.Lgs. Semplificazioni Fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28.11.2014, S.O. n. 90), prevede:

 

  • la detraibilità dell’IVA per gli omaggi, rientranti nelle spese di rappresentanza, di

 

costo unitario NON superiore a € 50,00;

 

  • l’indetraibilità dell’IVA, per gli omaggi di costo unitario superiore a € 50,00.

 

N.B. Si sottolinea che le nuove disposizioni entreranno in vigore con riferimento agli acquisti effettuati a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto, che avverrà trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione dello stesso in G.U.

Considerando che il D.Lgs. Semplificazioni Fiscali (D.Lgs. 175/2014), è stato pubblicato sulla

Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28.11.2014, S.O. n. 90, a più di un mese dalla sua approvazione,

questo entrerà in vigore il 13.12.2014.

Pertanto, l’innalzamento della soglia esplicherà la propria efficacia con riferimento agli acquisti effettuati a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto.

La successiva cessione gratuita del bene (omaggio), indipendentemente da valore dell’omaggio, è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA per effetto di quanto previsto dall’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972.

Per quanto riguarda i lavori autonomi, nulla cambia rispetto alle regole appena analizzate per quanto riguarda la detraibilità dell’IVA.

Troverà, infatti, applicazione l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972 cosi come confermato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 34/E/2009, laddove si chiarisce che le disposizioni in materia di qualificazione delle spese di rappresentanza, contenute nel D.M. 19.11.2008, sono applicabili anche ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo.

Differenze sussistono, per i lavoratori autonomi, circa l’applicazione dell’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972 che esclude dalle cessioni imponibili “quelli a cui la produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore ad euro 50,00”.

Di fatto, dunque, tale disposizione non trova applicazione per quanto riguarda i lavoratori autonomi, per i quali costituiranno cessioni imponibili le cessioni gratuite di beni di costo unitario inferiore a € 50,00 con conseguenti obblighi di fatturazione, registrazione, ecc. degli omaggi.

In alternativa, si potrà non detrarre l’IVA sull’acquisto dei beni da regalare, rendendo irrilevante ai fini IVA la successiva cessione.

In base alle disposizioni dell’art. 108, co.2, D.P.R. 917/1986, i costi sostenuti per l’acquisto di

beni destinati ad omaggio, ricompresi tra le spese di rappresentanza, sono deducibili:

 

  • integralmente, se di valore unitario non superiore a € 50;
  • se di valore unitario superiore a € 50, nel rispetto dei requisiti di inerenza e congruità previsti per le spese di rappresentanza nel D.M. 19.11.2008, nell’anno di sostenimento e nel limite dell’importo annuo massimo ottenuto applicando ai ricavi/proventi della gestione caratteristica (voci A.1 e A.5 del Conto economico) le seguenti percentuali:  1,3% con ricavi proventi gestione caratteristica fino a 10 milioni di euro;  0,5% con ricavi proventi gestione caratteristica da 10 milioni di euro a 50 milioni di euro;  0,1% con ricavi proventi gestione caratteristica superiori a 50 milioni di euro.

 

Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, invece, troverà applicazione il limite dell’1% dei

compensi percepiti nel periodo d’imposta, a prescindere dal valore unitario, cosi come previsto dall’art. 54, co. 5, D.P.R. 917/1986.

Per il trattamento ai fini IRAP dei costi sostenuti per l’acquisto di beni NON oggetto dell’attività destinati a omaggio per i clienti, è necessario differenziare sulla base della modalità con la quale è stata calcolata la base imponibile IRAP, ossia:  

 

  • qualora la base imponibile IRAP è determinata con il “metodo da bilancio”, poiché le spese in esame rientrano nella voce B.14 del Conto economico, le stesse risultano interamente deducibili ai fini IRAP;
  • qualora la base imponibile IRAP è determinata con il “metodo fiscale”, le spese in

 

esame non rientrano tra i componenti rilevanti espressamente previsti e

conseguentemente le stesse risultano indeducibili ai fini IRAP.

 

CIRCOLARE DEL 11/11/2014

CONFRONTO TRA NUOVO E VECCHIO REGIME AGEVOLATO DEI MINIMI

 

Il nuovo regime L’art. 9 del D.d.L. della Finanziaria 2015 introduce un nuovo regime riservato ai soggetti di minori dimensioni, destinato a sostituire gli attuali regimi esistenti, a decorrere dal 2015.

Il nuovo regime, denominato “Regime fiscale agevolato per lavoratori autonomi” o regime forfetario, prevede in breve:

  • la determinazione particolarmente semplificata del reddito, attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività ai ricavi/compensi. Non è pertanto riconosciuta la deduzione

analitica dei costi/spese;

  • l’assoggettamento di tale reddito ad un’imposta sostitutiva dell’IRPEF, delle addizionali

IRPEF e dell’IRAP;

  • l’introduzione di un regime agevolato anche ai fini contributivi;
  • adempimenti semplificati, confermando sostanzialmente le disposizioni vigenti nell’attuale  regime dei minimi.

Si evidenzia che il regime in esame non è riservato alle nuove iniziative ma riguarda tutte le persone fisiche che svolgono un’attività d’impresa/lavoro autonomo e che rispettano i requisiti richiesti relativamente ai ricavi/compensi e alla “struttura minimale”.

Il reddito e l’imposta

Nel nuovo regime l’onere fiscale varia sulla base dell’attività esercitata.

Infatti il reddito imponibile dei nuovi forfettari è individuato:

applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi il coefficiente di redditività individuato in modo differenziato in base all’attività esercitata;

il risultato così ottenuto:

è soggetto a una imposta sostitutiva di quelle sui redditi, delle addizionali regionali e comunali, e dell’Irap pari al 15%.

Entrate e uscita

Per i soggetti che rispettano le condizioni e i requisiti sopraesposti il regime forfetario costituisce il loro regime naturale che sarà applicato a partire dal 2015.

Il contribuente che “naturalmente” presenta tutti requisiti previsti può non applicare il regime in esame esercitando l’opzione per il regime ordinario ai fini IVA e redditi.

RICORDA – L’opzione è vincolante per almeno un triennio e si estende successivamente di

anno in anno; la stessa va comunicata nella dichiarazione annuale relativa all’anno in cui è

operata la scelta.

Al venir meno delle condizioni che consentono l’applicazione del regime, il contribuente,

dall’anno successivo, applica il regime ordinario, potendo successivamente (ri)tornare al regime forfetario se rispetta nuovamente i parametri stabiliti.

È possibile restare nel regime agevolato senza più vincoli di tempo.

La riforma fa cadere, infatti, il vincolo attuale di permanenza dei cinque anni.

Il nuovo regime sostituirà i regimi agevolati oggi in vigore.

In particolare

 

  • il regime delle nuove iniziative produttive (articolo 13 Legge 388/2000);
  • il regime fiscale di vantaggio dei minimi (sostitutiva del 5% ex articolo 27, commi 1 e 2 D.l. 98/2011);
  • il regime contabile agevolato degli ex minimi (articolo 27, comma 3, D.l. 98/2011):

 

saranno sostituti dal nuovo regime forfettario.

I calcoli di convenienza

Questo “affiancamento” può determinare per il contribuente che intende aprire la Partita Iva nei prossimi mesi una spinta a non attendere troppo e a procedere ad effettuarla entro il fine anno.

Qualora l’inizio attività avvenisse entro il prossimo 31 dicembre il contribuente potrebbe,

infatti, accedere all’attuale regime dei minimi che fiscalmente risulta più conveniente rispetto al nuovo “regime forfettario”.

I vantaggi sono dati innanzitutto dal fatto che l’aliquota dell’imposta sostitutiva passa dall’attuale 5% al 15%. Inoltre il limite dei ricavi, fisso a 15.000 per l’attuale regime dei minimi, nel nuovo regime forfettario varia dai 15.000 a 40.000 differenziandosi sulla base del codice ateco.

Considerando che i regimi agevolati sono molto utilizzati da giovani professionisti questi si troveranno a confrontarsi con il nuovo limite di 15.000 ero di parcelle emesse rispetto all’attuale limite di 30.000. Inoltre mentre nel regime dei minimi il reddito su cui applicare l’imposta sostitutiva del 5% è dato analiticamente dai ricavi meno i costi nel nuovo forfettario il reddito imponibile si calcola attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività (distinto per sulla base del codice ateco del contribuente) sui ricavi conseguiti. In particolare per i professionisti il coefficiente è pari al 78% pertanto in caso di fatturato pari a 10.000 € l’imposta sostituiva si calcolerà su una base imponibile di 7.800 euro.

ATTENZIONE – È prevista però la possibilità di un passaggio graduale al nuovo regime per coloro i quali già oggi sono contribuenti agevolati.

In particolare i contribuenti che nel 2014 adottano il regime fiscale di vantaggio dei minimi possono continuare in tale regime fino al termine del periodo temporale fissato dalla norma originaria (5 anni o compimento dei 35 anni).

In questo modo non viene “cancellato” dal 1° gennaio 2015 il precedente regime dei minimi ma si viene a determinare, di fatto, un “affiancamento” dei due regimi. In questo modo per un lungo periodo la novità prevista si accosterà al vecchio regime dei minimi che non scomparirà completamente, almeno per il momento.

Per contro il contribuente che aprisse la partita Iva entro fine anno si troverebbe a versare le imposte per questi ultimi due mesi del 2014 e nel nuovo regime il versamento dei contributi non avviene più sui minimali ma sul reddito dichiarato.

Inoltre non bisogna scordare il fatto che per il contribuente che aderisce al nuovo regime

forfettario nel primo triennio l’onere fiscale viene ridotto a un terzo. In particolare il reddito,

assoggettato all’imposta sostitutiva del 15%, è ridotto di 1/3 per l’anno di inizio attività e per i 2 successivi. Un’agevolazione non irrilevante anche se peggiorativa rispetto all’attuale regime dei minimi visto che in questo caso il privilegio dura cinque anni.

 

CIRCOLARE DEL 06/11/2014

BONUS RISTRUTTURAZIONE NEI CONDOMINI

 

Dal 2012, l’agevolazione 36%-50% è normativamente ammessa per gli interventi effettuati su tutte le parti comuni degli edifici residenziali, individuate dall’articolo 1117, C.c., ovvero:

  1. il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune;
  2. i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi o per altri simili servizi in comune;
  3. le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e, inoltre, le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.”

Se gli interventi sono eseguiti su parti comuni condominiali, gli adempimenti necessari per beneficiare della detrazione del 36%-50% sono generalmente eseguiti dall’amministratore di condominio.

La Circolare n. 57/1998 chiarisce che nel caso di condomini nei quali sono presenti unità con destinazione diversa da quella abitativa (ad esempio, condominio nel quale, a piano terra, sono presenti dei negozi) gli interventi edilizi “ordinari” effettuati sulle parti comuni sono detraibili a condizione che la superficie delle unità destinate ad abitazione sia superiore al 50%.

Nel rispetto delle altre condizioni richieste, può fruire della detrazione anche il proprietario o detentore delle unità a destinazione non abitativa.

Diversamente, se in un condominio la superficie dedicata alle abitazioni è inferiore (o uguale) al 50% la Circolare n. 57/1998 dispone che:

“…è comunque ammessa la detrazione per le spese realizzate sulle parti comuni da parte dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio”.

Se gli interventi sono eseguiti su parti comuni condominiali, gli adempimenti necessari per beneficiare della detrazione del 36%-50% sono generalmente eseguiti dall’amministratore di condominio.

La soppressione dell’obbligo di invio della comunicazione di inizio lavori disposta dal D.L. n. 70/2011 vige anche relativamente agli interventi sulle parti comuni condominiali.

La soppressione di detto adempimento è tuttavia sostituita dall’obbligo per l’amministratore di indicare i dati identificativi dell’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi nel quadro AC della propria dichiarazione dei redditi.

Con Circolare 1 giugno 1999, n. 122, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che in luogo di tutta la documentazione “ordinaria”, l’amministratore poteva provvedere a consegnare ad ogni condomino una certificazione, attestante:

 

  • l’espletamento di tutti gli adempimenti previsti ai fini della detrazione del 36%-50%;
  • l’importo per il quale il contribuente poteva beneficiare dell’agevolazione (ovvero la propria quota millesimale).

 

A seguito della soppressione dell’obbligo di invio della comunicazione a Pescara per gli interventi effettuati dal 14 maggio 2011, il Provvedimento 2 novembre 2011 dispone l’obbligo per il contribuente di conservazione ed esibizione su richiesta degli uffici di tutta la documentazione utile, compresa:

 

  • la delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori;
  • la tabella millesimale di ripartizione delle spese.

 

La Circolare n. 19/2012, punto 1.4, ha confermato la validità del chiarimento precedentemente fornito dall’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 122/1999 sopra riportato, indipendentemente dalle modifiche normative intervenute;

pertanto, in luogo di tutta la documentazione “ordinaria” elencata nel  Provvedimento 2 novembre 2011, al condomino è consentita la conservazione della sola attestazione dell’amministratore di condominio.

 

È necessario, inoltre, che l’amministratore del condominio conservi tutta la documentazione originale, così come individuata dal Provvedimento 2 novembre 2011, al fine di esibirla a richiesta degli Uffici.

 

CIRCOLARE DEL 30/10/2014

E’ NULLA LA CARTELLA ESATTORIALE A FAMILIARE NON CONVIVENTE

 

È nulla la notifica della cartella di pagamento eseguita con consegna a familiare non convivente, peraltro presso un indirizzo diverso da quello di residenza anagrafica del destinatario dell’atto.

In caso di contestazioni involgenti la notifica, l’Agente della riscossione è tenuto a produrre in giudizio la matrice oppure la copia della cartella – con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento – e non semplicemente l’estratto di ruolo o una ristampa del documento esattoriale.

È quanto emerge dalla sentenza n. 1028/06/14 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia.

 

CIRCOLARE DEL 29/10/2014

AUTO IN COMODATO O IN USO

Con la Legge n. 120/2010 è stata riformata la disciplina del Codice della strada, contenuta nel D.Lgs. n. 285/92.

In particolare l’art. 12, comma 1 della citata Legge ha introdotto all’art. 94 del predetto Decreto, il nuovo comma 4-bis il quale prevede in capo all’utilizzatore, l’obbligo di comunicare alla Motorizzazione, richiedendo l’aggiornamento della carta di circolazione, gli eventi che comportino variazioni:

 

  • dell’intestatario della carta di circolazione;
  • della disponibilità del veicolo per periodi superiori a 30 giorni, in favore di soggetti diversi dall’intestatario.

 

Con la Circolare 10.7.2014, n. 15513 il MIT ha comunicato l’attuazione dell’obbligo in esame fornendo una prima serie di chiarimenti.

La citata circolare chiarisce che i suddetti obblighi sono, in linea generale, a carico degli “aventi causa” (es. comodatario o affidatario); tuttavia, con apposita delega scritta dell’avente causa (moduli A/1 e A/2), gli obblighi possono essere posti in essere anche dall’intestatario del veicolo.

Nel caso in cui l’intestatario della carta di circolazione conceda in comodato l’utilizzo del proprio veicolo ad un terzo per un periodo superiore a 30 giorni, il comodatario ha l’obbligo di darne comunicazione al competente Ufficio della Motorizzazione (UMC), richiedendo l’aggiornamento della carta di circolazione.

SOGGETTI OBBLIGATI Con riguardo alla nozione di “avente causa”, il MIT ha chiarito che va fatto riferimento al:

comodatario; affidatario, in caso di custodia giudiziale; locatario / sublocatario, in caso di locazione senza conducente; erede; utilizzatore, in caso di contratto “rent to buy”.

SOGGETTI ESONERATI Con riguardo al comodato, la citata Circolare n. 15513 ha ribadito che sono esonerati dall’obbligo:

i familiari conviventi, ferma restando la possibilità per gli stessi di richiedere l’aggiornamento della carta di circolazione; i veicoli in disponibilità di soggetti esercenti l’attività di autotrasporto ovvero i rimorchi con peso superiore a 3,5 t.

VEICOLI AZIENDALI Nel caso in cui i veicoli in disponibilità di aziende o di enti (pubblici o privati) a titolo di:

 

  • proprietà;
  • usufrutto;
  • acquisto con patto di riservato dominio;
  • leasing o di locazione senza conducente;

 

vengano concessi, per periodi superiori a 30 giorni, in comodato d’uso gratuito ai propri dipendenti, la persona fisica munita del potere di agire in nome e per conto dell’azienda comodante, su delega del comodatario, presenta istanza redatta conformemente all’Allegato B/1 volta all’annotazione nell’Archivio Nazionale dei veicoli (senza, quindi, indicazione del nominativo in carta di circolazione).

Il Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti (MIT) ha fornito una serie di chiarimenti in merito alla disposizione, contenuta nel Codice della strada, che prevede l’obbligo in capo ai soggetti utilizzatori “abituali” di veicoli di terzi di comunicare “tempestivamente” alla Motorizzazione la variazione del possesso del mezzo.

Con la circolare prot. 23743 di lunedì 27 ottobre è stato chiarito che:

 

  • non vige l’obbligo di annotazione dell’utilizzatore se l’auto aziendale gli è attribuita come fringe benefit o come mezzo anche solo parzialmente di servizio;
  • negli altri casi, l’obbligo della annotazione sulla carta di circolazione rimane, anche se si tratta di amministratori, soci o altri collaboratori dell’azienda.

 

Alla luce delle novità introdotte nella giornata di lunedì 27 ottobre la motorizzazione è intervenuta ancora una volta con una nuova circolare (prot. 23743) con la quale sono state fornite nuove importanti precisazioni.

In particolare per quanto riguarda le aziende sono stati dettati i confini tra

 

  • comodato (che va sempre annotato);
  • altre forme di utilizzo del veicolo aziendale (tutte esenti dall’obbligo).

 

La circolare 23743 puntualizza che: il comodato sussiste quando c’è un utilizzo “esclusivo e personale» e “a titolo gratuito”.

Ciò, secondo la circolare, non si verifica né nel caso del fringe benefit (qui non c’è la gratuità, essendo una retribuzione in natura) né in quello del mezzo di servizio condiviso tra più dipendenti né nell’utilizzo promiscuo.

Il comodato avviene in sostanza quando il lavoratore ha il veicolo assegnato in esclusiva ma non in fringe benefit, ossia quando subisce una trattenuta per la parte di uso privato.

Sembra, quindi, si possa dedurre che l’unico caso di annotazione del nome del dipendente si ha nella rara ipotesi in cui egli riceva un veicolo “esclusivamente” per fini personali.

Nei casi in cui l’obbligo esiste, vale anche per i soci, gli amministratori e i collaboratori dell’azienda. E anche l’imprenditore individuale, se il veicolo è un bene strumentale della sua impresa.

Giunti alla scadenza:

il comodato non richiede ulteriori annotazioni: si dà per scontato che il mezzo sia rientrato nella disponibilità dell’azienda, che dovrà effettuare comunicazioni alla Motorizzazione solo in caso di cessazione anticipata;

se entro 30 giorni si affida il veicolo a un’altra persona, basta annotarne il nome, senza registrare la cancellazione dell’utilizzatore precedente.

Per quanto riguarda il noleggio a lungo termine (c.d. “locazione senza conducente”) la circolare ha precisato che:

 

  • il nome che va annotato è quello dell’azienda che poi affida il mezzo al suo dipendente;
  • alla scadenza il noleggio si considera implicitamente prorogato fino a quando il locatore (cioè il noleggiatore) comunica che il veicolo è rientrato nella sua disponibilità (in questo caso viene smentita la precedente circolare n. 15513 accennata in precedenza);

 

 

CIRCOLARE DEL 28/10/2014

SPESE  DI  PUBBLICITA’  RAPPRESENTANZA E SPONSORIZZAZIONE

 

Diventa sempre più difficile dedurre spese di pubblicità e sponsorizzazione, sia per l’accoglienza che viene riservata dall’Amministrazione Finanziaria in sede di un eventuale controllo, sia per le varie prese di posizione della giurisprudenza in merito all’argomento.

Sempre di più imprese e professionisti devono valutare bene se far rientrare le spese in un contesto di indeducibilità sia delle spese di pubblicità che di propaganda e sponsorizzazione, per le quali viene in genere attribuita, al più, la natura di rappresentanza.

Il comma 8 dell’art. 90 della Legge n. 289 del 2002 prevede che i corrispettivi in denaro o in natura erogati in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, non superiori all’importo annuo di 200.000 euro, costituiscono per il soggetto erogante “spese di pubblicità”.

La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate, sempre nel limite del predetto importo, comunque di pubblicità, pertanto integralmente deducibili per il soggetto erogante.

Molto spesso si confondono il contratto di sponsorizzazione con quello di pubblicità. I due termini non sono sinonimi ma, anzi, esistono delle differenze formali e sostanziali che è bene tenere a mente prima di stipulare un tipo di contratto piuttosto che l’altro.

Sponsorizzazione

La sponsorizzazione consiste in un contributo erogato da un’impresa pubblica o privata al finanziamento di uno spettacolo o manifestazione, allo scopo di promuovere: nome, ragione o denominazione sociale; marchio; immagine; attività e prodotti.

La sponsorizzazione avviene tramite un contratto a prestazioni corrispettive con il quale lo sponsorizzato si impegna, dietro pagamento di un corrispettivo in denaro o in natura, ad associare (abbinare) per un certo periodo di tempo, nel corso di manifestazioni sportive, artistiche, culturali o scientifiche, il nome (il prodotto, il marchio, i servizi o comunque l’attività produttiva) dello sponsor al proprio, rendendo esplicito che la manifestazione o la partecipazione alla manifestazione è conseguente all’onere sostenuto dallo sponsor.

Si ha quindi sponsorizzazione quando viene istituito uno specifico abbinamento tra l’avvenimento agonistico e la promozione del nome/marchio dello sponsor, allo scopo di trasmettere un’immagine più positiva dell’impresa ed aumentare di riflesso le sue vendite. Non è prevista la forma scritta obbligatoria per il contratto di sponsorizzazione obbligatorio, ma resta sempre la forma più consigliabile

Pubblicità

La sponsorizzazione viene spesso confusa con la pubblicità, ma quest’ultima è occasionale rispetto all’evento sportivo: si pensi, ad es., a cartelloni, manifesti, striscioni pubblicitari che sono collocati stabilmente (e non in occasione di un particolare evento sportivo) a bordo campo o ai margini di una palestra per promuovere in modo diretto ed esplicito la vendita di un prodotto o di un servizio.

 

Sebbene non esista alcuna disposizione legge che obblighi a redigere un contratto di sponsorizzazione o di pubblicità, è comunque consigliabile stipulare il contratto nella forma di scrittura privata ed effettuarne la sua registrazione presso l’Ufficio del Registro competente. Se poi il contratto prevede un impegno economico considerevole da parte dello sponsor, è preferibile optare per una forma di scrittura privata autenticata (cioè sottoscritta alla presenza di un pubblico ufficiale), in modo tale che il contratto acquisti maggiore valore probatorio.

 

Deducibilità fiscale: Secondo quanto definito dalla recente giurisprudenza, le spese erogate a favore di società sportive dilettantistiche sono deducibili solo se il messaggio pubblicitario è idoneo a dimostrare l’effettivo incremento delle vendite, pena la non riconoscibilità del costo per difetto di inerenza.

Occorre specificare che in materia fiscale esistono delle differenze significative con riferimento alla deducibilità delle spese di pubblicità rispetto a quelle di rappresentanza.

La normativa di riferimento va rinvenuta nell’articolo 108, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi la quale sancisce che le spese di pubblicità e propaganda sono interamente deducibili nell’anno in cui sono state sostenute o in quote costanti in cinque anni successivi, mentre, in combinato disposto con il contenuto del Decreto Ministeriale del 19 novembre 2008, il medesimo articolo statuisce per le spese di rappresentanza il principio della deducibilità entro un limite massimo commisurato ai ricavi realizzati entro il periodo d’imposta. Per cui è prevista una totale deducibilità per le spese di pubblicità a fronte di una deducibilità soltanto parziale per quelle di rappresentanza.

 

Classificare le spese di sponsorizzazione tra le spese di pubblicità piuttosto che tra quelle di rappresentanza ha pertanto degli importanti effetti.

Purtroppo, sebbene la prassi sia ormai orientata nel riconoscere le spese di sponsorizzazione come vere e proprie spese di pubblicità, lo stesso non può dirsi per la giurisprudenza di legittimità.

 

Il comma 8 dell’art. 90 della Legge n. 289 del 2002 prevede che i corrispettivi in denaro o in natura erogati in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, non superiori all’importo annuo di 200.000 euro, costituiscono per il soggetto erogante “spese di pubblicità”.

 

CIRCOLARE DEL 27/10/2014

REDDITOMETRO

IN ARRIVO I PRIMI ACCERTAMENTI RELATIVI ALL’ANNO 2009

 

Con la Circolare 6/E dell’Agenzia delle Entrate è stato introdotto “il nuovo redditometro”, il quale mira a combattere l’evasione fiscale e ad individuare chi spende più di quanto abbia dichiarato, partendo da una serie di indici di capacità di spesa.

I primi ad essere analizzati saranno i redditi del 2009, dichiarati nel 2010. Il sistema sarà in grado di ricostruire per ciascun contribuente le spese effettuate di cui l’Amministrazione Fiscale ha certezza e di metterle a confronto con il reddito dichiarato in quell’anno. Se la differenza è superiore al 20%, scatta l’accertamento.

La notifica dell’atto di accertamento deve avvenire entro il termine ordinario di notifica ossia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione relativa all’anno di imposta indagato e nel caso in cui questa sia stata omessa il termine slitta al quinto anno rispetto alla scadenza naturale.

È pertanto in scadenza (al 31/12/2014) l’anno d’imposta 2009 oggetto di accertamento relativo al modello Unico 2010, ovvero l’anno in cui viene applicato il nuovo redditometro. Sono pertanto in scadenza i primi redditometri.

È comunque da non sottovalutare che la rigida soglia di tolleranza di 1/5 stabilita dalla norma sull’accertamento sintetico viene ridotta ad 1/3 in ipotesi di applicazione della cosiddetta “norma premiale” prevista per i contribuenti congrui coerenti e fedeli agli studi di settore.

I principi su cui si basa la rettifica sintetica sono: · il superamento dell’analiticità dell’accertamento e dei criteri che informano la rettifica dei redditi che si determinano sulla base delle scritture contabili;

  • l’utilizzo di elementi e circostanze di fatto certi per determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente nell’ipotesi in cui il reddito netto complessivo accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato per due anni consecutivi;
  • nella suddivisione della capacità di spesa del contribuente su un certo periodo. Infatti, il maggiore reddito può essere determinato, in modo induttivo, anche sulla base di particolari elementi di capacità contributiva che possono consentire la notifica di un avviso di accertamento quando il reddito dichiarato non risulta essere congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta.

 

CIRCOLARE DEL 23/10/2014

SGRAVIO CONTRIBUTIVO PER NUOVE ASSUNZIONI

 

Dal 1° gennaio 2015, assumere sarà più conveniente. Infatti, il recente DdL Stabilità 2015 all’art 12 della bozza contiene un’importantissima agevolazione in favore delle imprese del settore privato che procedono ad una nuova assunzione a tempo indeterminato. L’agevolazione, in pratica, consiste in uno sgravio contributivo totale di durata triennale (36 mesi); mentre, l’importo massimo agevolabile è pari a 6.200 euro annui. Al riguardo, appare opportuno precisare fin da ora, che lo sgravio riguarda esclusivamente il contributo del 32,70% a carico dell’azienda, con esclusione di quello a carico del lavoratore, pari al 9,19%, che sarà posto a carico dello Stato e coperto con lo stanziamento di 1 miliardo per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017.

Premessa Il testo del DdL Stabilità 2015, licenziato dal Consiglio dei Ministri del 15 ottobre scorso, porta in dotazione numerose misure intese a dare una scossa ad un mercato del lavoro ingessato dalla crisi di questi ultimi anni. Una su tutte, quella che garantisce la totale decontribuzione in favore dei datori di lavoro i quali intendono assumere nuovi lavoratori a tempo indeterminato.

La forma di occupazione prevista sarà quella a “tutele crescenti” prevista dal Jobs act; pertanto, prima della sua operatività è ragionevole ritenere che occorrerà attendere la messa in atto del nuovo contratto che guiderà le assunzioni agevolate.

Ma vediamo ora nel dettaglio la nuova misura contenuta nel DdL Stabilità 2015.

Caratteristiche generali

Partiamo innanzitutto col dire che le assunzioni agevolate saranno solo quelle effettuate dai datori di lavoro che assumono personale “a tempo indeterminato” dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015; mentre la durata dell’incentivo è triennale (36 mesi).

Quindi, chi procede all’assunzione nell’anno 2015 è esente dal pagamento contributivo per ben tre anni.

Verrà azzerato solo il contributo del 32,70% a carico dell’azienda, con esclusione di quello a carico del lavoratore, pari al 9,19%, che sarà posto a carico dello Stato e coperto con lo stanziamento di 1 miliardo per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017.

Campo di applicazione

Ad essere agevolate sono esclusivamente le nuove assunzioni dei datori di lavoro del settore privato, con esclusione del settore agricolo. L’agevolazione, inoltre, non varrà per i lavoratori domestici e per gli apprendisti. Restano escluse, altresì, le assunzioni di lavoratori che nei sei mesi precedenti sono stati occupati con contratto a tempo indeterminato “presso qualsiasi datore di lavoro” e non spetta alle persone che abbiano già avuto

Importo

Quanto all’importo dell’agevolazione, essa avrà un limite massimo annuo di 6.200 euro. Conti alla mano, l’azzeramento dei contributi arriverebbe fino a circa 19.000 euro di salario.

La mancata contribuzione, in particolare, non avrà ripercussioni negative sui lavoratori: la norma afferma, infatti, che “resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche”, il che vuol dire che i lavoratori matureranno comunque la contribuzione utile ai fini della pensione per i mesi di sgravio contributivo.

Agevolazioni che cessano

Ma per un’agevolazione che entra, ne escono altre due. Stiamo parlando, in particolare:

dello sgravio contributivo ex art. 8, c. 9 della L. n. 407/1990 e dell’incentivo ex art. 7, c. 9 del D.Lgs. n. 167/2011. Il primo, in vigore dal 1991, riguarda lo sgravio contributivo per l’assunzione di soggetti disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi). Lo sconto era del 50% per 36 mesi, incrementato al 100% nel Mezzogiorno e a favore delle imprese artigiane. L’altro incentivo eliminato, invece, consentiva per un anno di mantenere i benefici contributivi, allo scadere del percorso di apprendistato.

 

CIRCOLARE DEL 22/10/2014

SEMPLIFICAZIONI EDILIZIE

clicare sul seguente link:

http://www.fiscal-focus.it/all/Fiscal_News_n._294_del_21.10.2014_Sblocca_Italia._Semplificazioni_edilizie.pdf

 

CIRCOLARE DEL 22/10/2014

FONDO DI GARANZIA PER MUTUI RELATIVI AD ACQUISTO E RISTRUTTURAZIONE CASA

cliccare sul seguente link:

http://www.fiscal-focus.it/all/Fiscal_News_n._296_del_22.10.2014_-_Casa._Nuovo_Fondo_di_garanzia.pdf

 

CIRCOLARE DEL 20/10/2014

IL NUOVO REGIME SEMPLIFICATO

 

Il D.D.L. della Legge di Stabilita 2015 prevede la riforma dei regimi agevolati. Verrà abrogato l’attuale “Regime dei minimi¨  per essere sostituito da un nuovo regime semplificato.

Coloro che sono attualmente nel regime dei minimi possono continuare ad avvalersene fino alla scadenza dei cinque anni o comunque fino al compimento del 35esimo anno di eta.

Tra i punti più importanti si evidenzia che il nuovo regime semplificato:

 

  • prevede un imposta del 15% (sostitutiva delle imposte sui redditi e delle addizionali regionali, comunali e irap);
  • non ha una scadenza definita a priori, ma smette di avere efficacia al cadere dei requisiti di permanenza.

 

Limite dei ricavi La prima novità nel nuovo regime semplificato è data dal limite dei ricavi.

Secondo la disposizione normativa:

i compensi ragguagliati ad anno non devono essere superiori ai limiti indicati nell’allegato alla presente legge, diversi a seconda del codice ATECO che contraddistingue l’attivita esercitata. In sostanza si tratta di una modifica volta a rendere più flessibile il regime con una previsione di soglie di ricavi differenziate rispetto al tipo di attivita svolta.

Piu precisamente, secondo le regole vigenti, il limite che porta alla fuoriuscita immediata e fissata a 30.000 euro di ricavi o compensi per tutti. Con la modifica in arrivo il limite oscillerà dai 15.000 a 40.000 euro, tenendo conto però delle differenze tra le attività svolte dai contribuenti. Nel caso di esercizio di piu attività, ognuna delle quali potrebbe essere soggetta a limiti di ricavi differenti, si assume il limite più elevato dei ricavi e compensi relativi alle diverse attivita esercitate (e non quello relativo all’attività prevalente).

Non rilevano nemmeno i ricavi e compensi rilevanti ai fini degli studi di settore.

Nota aggiunta il 05/01/2015: In fase di conversione è stato previsto che in caso il contribuente percepisca anche redditi di lavoro dipendente, il reddito di impresa o professionale debba essere prevalente su quello di lavoro dipendente. La regola della prevalenza non ricorre qualora le due fattispecie di reddito, cumulate tra loro, non superano € 20.000

Esistenza di dipendenti dell’impresa o del professionista Per quanto riguarda le spese di lavoro dipendente l’accesso e consentito solo se il contribuente ha sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore a 5.000 euro lordi.

Si tratta di un altra novita rispetto ai regimi agevolati odierni in cui vige invece un divieto a sostenere costi per lavoro dipendente.

Beni strumentali Relativamente ai cespiti, il costo complessivo al lordo degli ammortamenti dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio, non deve superare i 20.000 euro.

Ai fini del calcolo del limite:

 

  • per i beni in locazione finanziaria rileva il costo sostenuto dal concedente;
  • per i beni in locazione noleggio e comodato rileva il valore normale dei medesimi determinato ai sensi dell’art. 9 del Tuir;
  • i beni utilizzati promiscuamente per l’attivita d’impresa/professionale e per l’uso personale concorrono nella misura del 50%;
  • non rilevano i beni immobili, comunque, acquisiti ed utilizzati nell’esercizio dell’impresa dell’arte o della professione.

 

Calcolo dell’imposta L’attività svolta è rilevante non solo per individuare il limite dei ricavi ma anche per calcolare l’imposta dovuta.

Infatti il reddito imponibile dei nuovi forfettari e individuato:

 

  • applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi il coefficiente di redditivita individuato anche in questo caso in modo differenziato in base all’attivita esercitata;
  • il risultato cosi ottenuto è soggetto a una imposta sostitutiva di quelle sui redditi, delle addizionali regionali e comunali, e dell’Irap pari al 15%.

 

 

L’imposta sostitutiva attualmente al 5% è destinata a salire al 15%.  Si stabilisce anche che al reddito cosi calcolato (e quindi prima di applicare l’imposta a forfait del 15%) sono dedotti i contributi previdenziali dovuti.

Inoltre, nel caso di avvio di nuove attivita, per il primo triennio, il reddito determinato in modo forfettario e ridotto a un terzo a patto che:

 

  • nei tre anni precedenti l’inizio dell’attivita oggetto di agevolazione, non deve essere stata esercitata un’attivita artistica, professionale o d’impresa, anche in forma associata o familiare;
  • l’attività non deve rappresentare, in alcun modo, una mera prosecuzione di un’attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, con l’esclusione dell’ipotesi del tirocinio professionale obbligatorio;
  • in caso di prosecuzione di un’attività di impresa svolta in precedenza da un altro soggetto, l’ammontare dei ricavi, realizzati nel periodo di imposta precedente a quello di riconoscimento del beneficio, non può essere superiore a quello fissato per categoria economica.

 

Adempimenti Per quanto riguarda gli adempimenti:

 

  • non è prevista l’applicazione di ritenute d’acconto sui compensi/ricavi e a tal fine è necessario rilasciare apposita dichiarazione in cui attesteranno che il reddito prodotto è assoggettato ad imposta sostitutiva;  
  • non vengono considerati sostituti d’imposta e non applicheranno quindi a loro volta le ritenute;
  • nella dichiarazione dei redditi dovranno indicare il codice fiscale dei percettori dei redditi per i quali non e stata operata la ritenuta;

 

Ai fini Iva: non si applica la rivalsa e non hanno diritto alla detrazione dell’imposta;

 

  • vige l’esonero dal versamento dell’imposta e da tutti gli altri obblighi previsti dal decreto del presidente della repubblica 633 del 1972 con l’unica eccezione di quelli relativi alla numerazione e conservazione delle fatture di acquisto, bollette doganali e certificazione dei corrispettivi;  
  • è prevista, comunque, la possibilità di optare per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari e tale scelta sarà valida per almeno un triennio con prosecuzione dopo questo lasso temporale di anno in anno.

 

 

Effetto sui contributi previdenziali Per artigiani e commercianti scompare il riferimento  ai minimali  e pertanto i contributi Inps si calcolano a percentuale a prescindere dal reddito dichiarato. Risulta molto vantaggioso per chi ha un reddito minimo. In precedenza si pagava comunque il minimale.

 

Durata E’ possibile restare nel regime agevolato senza piu vincoli di tempo. La riforma fa cadere, infatti, il vincolo attuale di permanenza dei cinque anni. Questa modifica ha un’immediata ricaduta pratica, perché chi sarebbe stato destinato a uscire al termine del quinquennio potrà ancora rimanere. Bisogna ricordare, infatti, che con le regole attuali solo chi ha meno di 35 anni di eta può rimanere più dei cinque anni.

 

CIRCOLARE DEL 17/10/2014

CANONI DI LOCAZIONE NON PERCEPITI

L’art. 26, TUIR dispone che i canoni di locazione immobiliare ad uso abitativo concorrono alla determinazione del reddito imponibile del locatore indipendentemente dalla loro percezione.

Raramente accade che si verifichi il caso in cui i locatori, siano essi persone fisiche, enti ed imprese, anche in forma societaria, non percepiscano i canoni di locazione ed abbiano ottenuto una sentenza di sfratto per morosità: solo in tali ipotesi infatti, è prevista la possibilità di non dichiarare tali redditi o di fruire di un credito d’imposta, qualora i canoni non percepiti abbiano concorso a determinare l’imposta liquidata (art. 8, comma 5, Legge n. 431/98).

L’agevolazione in esame si applica esclusivamente alle locazioni ad uso abitativo, quindi, per immobili appartenenti alla categoria catastale “A” (A/10 escluso).

Per le locazioni di immobili non abitativi il legislatore tributario non ha previsto una disposizione analoga. Ne consegue che:

il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo;

le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.

 

CIRCOLARE DEL 16/10/2014

BONUS OCCUPAZIONE

 

L’INPS, con la Circolare n. 118 del 3 ottobre 2014, ha comunicato che il 2 ottobre scorso è stato pubblicato nella sezione legale del Ministero del Lavoro il Decreto Direttoriale dell’8 agosto 2014, che dà attuazione alla misura del c.d. “bonus occupazione”, derivante dal “Programma Operativo nazionale per l’attuazione della Iniziativa Europea per l’Occupazione dei Giovani“. L’incentivo, in particolare, è ammissibile per le assunzioni effettuate a partire dal 3 ottobre 2014 fino al 30 giugno 2017, nei limiti delle risorse stanziate.

Esso, inoltre, spetta ai datori di lavoro che assumano giovani lavoratori di età compresa tra i 16 e 29 anni di età, a tempo indeterminato o determinato, di durata pari o superiore ai 6 mesi.

Quanto all’importo dell’incentivo, esso varia in base alla tipologia di assunzione ed alla profilazione del giovane effettuata al momento dell’inserimento nel Programma.

Per accedere all’incentivo, i datori di lavoro dovranno inoltrare un’istanza all’INPS, secondo istruzioni che saranno fornite dall’Istituto stesso nei prossimi giorni.

 

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