CIRCOLARE DEL 30/06/2017
CIRCOLARE DEL 30/06/2017
Società estinte, sotto tiro i soci
Il Fisco mette sotto tiro i soci delle società estinte. Con la notifica diretta degli accertamenti nei confronti dei soci senza passare prima attraverso un atto notificato alla società. Ma non è possibile, al di là della prassi seguita negli ultimi tempi, che gli accertamenti nei confronti di società estinte siano considerati validi se notificati semplicemente ai soci. Questo nonostante qualche ultimo “arresto” sul tema della Corte di cassazione.
Le regole
Ma ricostruiamo il quadro normativo. La riforma del diritto societario ha fissato il principio che la cancellazione dal Registro imprese determina l’estinzione dell’ente societario, sia di persone che di capitali. Il principio è stato confermato dalla Cassazione a sezioni unite (sentenze n. 4060/1/2 del 2010). Nel 2013, tuttavia, la Cassazione ha parzialmente rettificato il “tiro”, affermando che, per effetto delle disposizioni dell’articolo 2495 del Codice civile (e 2312 del Codicecivile), tra società e soci si verifica un fenomeno successorio sui generis limitato a quanto riscosso a seguito della liquidazione (2495 Codice civile) o illimitatamente (2312 Codice civile). Questo fenomeno successorio riguarda, secondo la Cassazione, anche le “sopravvenienze”, cioè diritti o beni sopravvenuti, non risultanti dal bilancio finale di liquidazione. Ad ogni modo, sempre la Cassazione a sezioni unite del 2013 ha stabilito che «è del tutto ovvio che una società non più esistente … non può validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta».
In tutto questo occorre rammentare l’articolo 28 del decreto legislativo 175/2014, con il quale è stato stabilito che «ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla cancellazione dal registro delle imprese». Si tratta di una norma che ha una finalità “capziosa” (si veda l’articolo a fianco) e che, ad ogni modo, risulta chiaramente illegittima (al di là della mancanza di delega) in quanto in nessun Paese può verificarsi che una società risulti “cessata a metà”. In sostanza, non vi può essere solo una “stabilizzazione relativa” della società cessata, di modo che quest’ultima possa risultare destinataria di atti di accertamento validi e che, soprattutto, possa stare in giudizio (la parola “contenzioso” inserita nel decreto legislativo 128/2014 avrebbe questa finalità). Si pensi: come può, magari l’ex liquidatore della società cessata, risultare legittimato a stare in giudizio, quando non esiste l’assemblea che, potenzialmente, avrebbe potuto revocare lo stesso liquidatore (al di là del fatto che si tratta oramai di un ex liquidatore)?
La svolta della Cassazione
In definitiva: un soggetto di diritto non può estinguersi solo sotto alcuni profili e non per altri. In tutto questo, con la sentenza n. 9094 del 2017, la Cassazione ha inaugurato un nuovo filone, affermando che la «possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire». Questo, in sostanza, legittimerebbe l’azione dell’Agenzia direttamente nei confronti dei soci di una società cessata per eventuali “sopravvenienze”, come può esserlo un atto di accertamento emanato dopo la cancellazione dal Registro delle imprese. Tant’è che l’ultima sentenza della Cassazione sul tema – la 12953/2017 (si veda Il Sole 24 Ore del 24 maggio) – afferma che l’atto di accertamento emesso nei confronti di una società cessata risulta correttamente notificato ai soci quali “successori”. Si tratta, però, di affermazioni non corrette in quanto la responsabilità dei soci per eventuali sopravvenienze può essere fatta valere solo avanti al giudice ordinario. Per le norme fiscali e, quindi, per avanzare pretese avanti al giudice tributario, valgono le disposizioni dell’articolo 36 del Dpr 602/1973, che dettano regole differenti e offrono una serie di garanzie al socio
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